martedì 10 marzo 2009
L'anima più profonda di una città speciale: l'omaggio del Papa a Roma (Cardia)
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L’INCONTRO CON L’UMANITÀ
L’ANIMA PIÙ PROFONDA DI UNA CITTÀ SPECIALE
CARLO CARDIA
Roma accompagna da secoli il cammino dell’uomo, e in certo senso rappresenta la fatica e la crescita dell’umanità, nel bene che compie e realizza, ma anche nel male, nelle sofferenze che patisce e nel declino degli ideali umani e spirituali che devono sorreggere la costruzione della società.
Con queste immagini Benedetto XVI ha voluto parlare in Campidoglio rendendo omaggio alla romanità che tiene insieme classicità e cristianità, universalismo e accoglienza verso gli altri, ed ha riproposto un concetto molto bello affermando che «il cuore romano è un cuore di poesia, perché la bellezza è quasi un suo privilegio, un suo carisma naturale».
Queste non sono le parole di un letterato innamorato della nostra capitale, ma le parole del Vescovo di Roma che parla ai suoi fedeli, a tutti i romani, a coloro che vengono e si incontrano nella culla del cristianesimo.
Roma ha tante occasione per incontrare il suo Vescovo, quando fa visita alle parrocchie e abbraccia i bambini e i giovani che gli vanno incontro, o quando le famiglie vanno in Piazza San Pietro a far sentire il proprio affetto e la propria vicinanza al papa, o quando ascoltano le sue catechesi in Vaticano, e in tante altre occasioni. Ma forse non tutti conoscono il rapporto speciale che si stabilisce tra Roma e il suo Vescovo, che spesso viene da terre diverse e lontane, ed è accolto con affetto filiale come successore di Pietro da coloro che diventano il popolo di Dio affidato alle sue cure, in una relazione che influenza il papa e i romani al tempo stesso. Questo, tra l’altro, ha voluto dire ieri Benedetto XVI quando, rivolto a coloro che erano presenti sulla piazza del Campidoglio ha detto che «vivendo a Roma da tantissimi anni, ormai sono diventato un po’ romano; ma più romano mi sento come vostro Vescovo».
Questo rapporto bellissimo, e unico, tra il successore di Pietro e i romani si è manifestato e rinnovato ieri in un incontro pieno di gioia che ha ricordato quelli di Paolo VI nel 1966 e di Giovanni Paolo II nel 1998 svoltisi sempre in Campidoglio quasi a scandire una storia mai interrotta.
Benedetto XVI ha definito la Roma di oggi «metropoli multietnica e multireligiosa», ed ha indicato il suo ruolo futuro nell’impegno convinto e continuo per la tutela e la promozione dei diritti fondamentali della persona nel rispetto della legalità. Ma ha ricordato che ciò può essere fatto solo se la città si riappropria della sua anima più profonda, «delle sue radici civili e cristiane» facendosi «promotrice di un nuovo umanesimo che ponga al centro la questione dell’uomo riconosciuto nella sua piena realtà». L’universalità del papato è tornata ieri a manifestarsi più forte quando ha chiesto di respingere ogni forma di intolleranza e discriminazione perché contraria alla dignità dell’uomo e alla natura più intima del nostro essere cristiani. I romani hanno conosciuto i popoli di tutta la terra, e l’Italia è stata al centro della storia della civiltà che si è costruita con fatica, con grandi successi ed immani tragedie, ed in questi incontri sono maturali quei sentimenti di rispetto e di solidarietà verso gli altri che costituiscono il retroterra più prezioso della nostra tradizione.
Quasi con umiltà Benedetto XVI ha posto la comunità cattolica al servizio di tutti, perché sia difesa la persona, siano promossi i suoi diritti, e tutelati i più deboli, ma ha affermato che la Chiesa deve essere consapevole della propria responsabilità nei confronti della cultura contemporanea, perché il cristianesimo può esprimersi soltanto se ripropone al mondo il «suo luminoso messaggio sulla verità dell’uomo».
In questo orizzonte le parole più profonde e più dolci sono state dette parlando alla coscienza di chi lo ascoltava, quando ha ricordato che l’uomo sradicato dal suo creatore si smarrisce, perde la fonte della sua moralità, del suo essere uomo che ama gli altri uomini, della sua capacità di affrontare le difficoltà, le sofferenze, i limiti che incontriamo tutti i giorni nella nostra esperienza terrena. Forse nel richiamo al rapporto tra la creatura e il suo creatore, e nel legame che il pontefice ha evocato tra la storia civile e cristiana di Roma e la responsabilità dei cristiani verso l’umanità più sofferente, e povera spiritualmente, di oggi, sta il significato più intimo del magistero di un papa come Benedetto XVI che parla dal Campidoglio ai popoli della terra, e che i romani riconoscono nel proprio cuore con gratitudine come il proprio Vescovo e la propria guida.
© Copyright Avvenire, 10 marzo 2009
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