lunedì 26 gennaio 2009
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Quando un gesto di riconciliazione diventa caso mediatico
Un copione sbagliato
In scena è andato un copione sbagliato e così la revoca della scomunica ai vescovi ordinati nel 1988 è diventato un nuovo caso mediatico pieno di toni emotivi. Con tempismo frettoloso si è addossata a Benedetto XVI la colpa non solo di resa a posizioni anticonciliari, ma perfino, se non la connivenza, almeno l'imprudenza di sostenere tesi negazioniste sulla Shoah.
Le parole del Papa ai vespri conclusivi della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani e la sua riflessione alla preghiera dell'Angelus sono state una smentita a queste paure diffuse.
Benedetto XVI ha detto parole importanti garantendo che "gli anziani tra noi certamente non dimenticano" il primo annuncio del Concilio fatto da Giovanni XXIII "il 25 gennaio 1959, esattamente cinquant'anni or sono". Un gesto che oggi Papa Ratzinger definisce "provvida decisione" suggerita dallo Spirito Santo e che il nostro giornale non casualmente ha ricordato con enfasi proprio nel giorno della revoca della scomunica.
È in forza della convinzione nei confronti del concilio quale avvenimento ispirato dall'alto che si deve leggere il gesto di revoca della scomunica. La riforma del concilio non è ancora del tutto attuata, ma è ormai talmente consolidata nella Chiesa cattolica che non può essere messa in crisi da un magnanimo gesto di misericordia. Ispirato per di più al nuovo stile di Chiesa voluto dal concilio che preferisce la medicina della misericordia alla condanna.
La revoca che ha suscitato tanto allarme non conclude una vicenda dolorosa come lo scisma lefebvriano. Con essa il Papa sgombera il campo da possibili pretesti per infinite polemiche, entrando nel merito del vero problema: l'accettazione piena del magistero, compreso ovviamente il concilio Vaticano II. Se infatti è vero che la Chiesa cattolica non nasce con il concilio, è vero altrettanto che anche la Chiesa rinnovata dal concilio non è un'altra Chiesa, ma la stessa Chiesa di Cristo, fondata sugli apostoli, garantita dal successore di Pietro e quindi parte viva della tradizione. Con l'annuncio di Papa Giovanni la tradizione certo non sparisce, ma continua ancora oggi nelle forme proprie di una pastorale e di un magistero aggiornati dall'ultimo grande concilio.
Pertanto appare un esercizio retorico, se non proprio offensivo, pensare che Benedetto XVI possa svendere anche in parte il concilio a chicchessia. Come retorico è il ricorrente chiedersi di alcuni se il Papa sia davvero convinto del cammino ecumenico e del dialogo con gli ebrei.
Gli impegni strategici del suo pontificato sono sotto gli occhi di tutti e i singoli atti pastorali e di magistero procedono limpidamente nell'applicazione della strategia annunciata al momento della sua elezione. Egli persegue quel programma nella condivisione collegiale con l'episcopato degli atti più impegnativi. Il dialogo è parte costitutiva della Chiesa conciliare e Benedetto XVI ha ripetuto più volte, e di nuovo ora, che l'ecumenismo richiede la conversione di tutti - anche della Chiesa cattolica - a Cristo. In una Chiesa convertita "le diversità non saranno più ostacolo che ci separa, ma ricchezza nella molteplicità delle espressioni della fede comune".
La revoca della scomunica non è ancora la piena comunione. Il percorso di riconciliazione con i tradizionalisti è una scelta collegiale e già nota della Chiesa di Roma e non un gesto repentino e improvviso di Benedetto XVI. Dall'accettazione del concilio discende necessariamente anche una limpida posizione sul negazionismo. La dichiarazione Nostra aetate, che segna la più autorevole svolta cattolica nei confronti dell'ebraismo, deplora "gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell'antisemitismo, dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque". Si tratta di un insegnamento non opinabile per un cattolico. Gli ultimi Papi, compreso Benedetto XVI, hanno esplicitato questo insegnamento. In decine di documenti, gesti e discorsi. Le recenti dichiarazioni negazioniste contraddicono questo insegnamento e sono pertanto gravissime e incresciose.
Rilasciate prima del documento di revoca della scomunica, restano - come abbiamo già scritto - inaccettabili.
c. d. c.
(©L'Osservatore Romano - 26-27 gennaio 2009)
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2 commenti:
Un grazie di cuore a Claudio di Cicco ed all'Osservatore Romano
"Se infatti è vero che la Chiesa cattolica non nasce con il concilio, è vero altrettanto che anche la Chiesa rinnovata dal concilio non è un'altra Chiesa, ma la stessa Chiesa di Cristo, fondata sugli apostoli, garantita dal successore di Pietro e quindi parte viva della tradizione. Con l'annuncio di Papa Giovanni la tradizione certo non sparisce, ma continua ancora oggi nelle forme proprie di una pastorale e di un magistero aggiornati dall'ultimo grande concilio"
Ho scelto di estrapolare questo periodo dall'articolo di Di Cicco, per sostenere quello che per convinzione personale ho sempre sostenuto. Il Concilio Vaticano II non è nato per trasformare radicalmente la chiesa ma, per farla progredire pur rimanendo nella sua tradizione.
Possibile che sia così difficile da capire? Oppure come al solito fa comodo non capire?
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