martedì 20 gennaio 2009
Telegramma del Papa a Barak Obama a poche ore dall'insediamento: promuova “comprensione, cooperazione e pace tra le nazioni” (Radio Vaticana)
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Telegramma del Papa a Barak Obama a poche ore dall'insediamento: promuova “comprensione, cooperazione e pace tra le nazioni”
Assicurando la propria preghiera per il mandato del nuovo presidente degli Stati Uniti, che vivrà oggi pomeriggio l’insediamento alla Casa Bianca, Benedetto XVI in un telegramma esprime l’auspicio che il nuovo presidente possa confermare i propri propositi di promuovere “comprensione, cooperazione e pace tra le nazioni”. Il servizio di Fausta Speranza:
Il Papa chiede a Dio per il 44esimo presidente USA “saggezza e vigore nell’esercizio delle sue responsabilità”. Inoltre il Papa augura agli Stati Uniti di continuare a tenere viva “la propria eredità religiosa e politica e i principi etici, necessari per cooperare nella costruzione di una società veramente giusta e libera, segnata dal rispetto per la dignità, uguaglianza e per i diritti di ogni suo membro, in particolare i poveri, gli emarginati e coloro che non hanno voce”. Proprio quando – sottolinea il Papa – “così tanti fratelli e sorelle nel mondo bramano di essere liberati dai flagelli della povertà, fame e violenza”.
Ancora prima dell'alba decine di migliaia di persone hanno cominciato ad allinearsi a Washington davanti ai punti di controllo che danno accesso alle cerimonie per l'insediamento di Barack Obama. Le misure di sicurezza sono eccezionali, con soldati della Guardia Nazionale, in tuta mimetica, dislocati ovunque nella capitale intorno alla 'zona protetta': l'area di Capitol Hill (il parlamento) ed il percorso della sfilata lungo la Pennsylvania Avenue. I ponti che dalla Virginia portano alla capitale sono stati chiusi nella notte alle auto: chi vuole raggiungere Washington puo' farlo solo in autobus, in bicicletta o a piedi. Ma anche ieri è stata una giornata significativa, come ci racconta dagli Stati Uniti Elena Molinari
Nella seconda giornata di celebrazioni per la sua inaugurazione, Obama ha voluto trasformare l’anniversario della nascita di Martin Luther King in una giornata di servizio. Lui e il vice presidente Biden, dunque, hanno vestito, per un giorno, i panni degli operai e hanno aiutato una comunità che costruisce case prefabbricate per i senzatetto. Michelle Obama e la moglie di Biden, Jill, invece, si sono unite alle magazziniere di un’associazione che invia pacchi-conforto alle truppe in Iraq. Alberghi, ostelli, scuole e persino palestre hanno raggiunto il tutto completo intanto, ieri, a Washington, dove almeno 2 milioni di persone si sono accampate, in attesa di vedere il nuovo presidente giurare sulla Bibbia di Lincoln; si aspetta una giornata lunga e fredda, con temperature vicine allo zero.
Al di là di ogni enfasi è un evento storico: fino a 40 anni fa vigeva la segregazione razziale in molti Stati USA e la piena integrazione dei neri non è ancora raggiunta. Nell’intervista di Fausta Speranza, il prof. John Harper, docente alla John Hopkins University di Bologna:
R. – Sicuramente è una giornata storica, una giornata che pochi avrebbero scommesso di vedere, cinque-dieci anni fa. Testimonia il fatto che i rapporti razziali in America sono migliorati, in questi ultimi decenni, anche se Obama non ha ricevuto una maggioranza dei voti dall’elettorato bianco, comunque ha avuto un appoggio decisivo da una fetta importante dell’elettorato bianco, e questo sicuramente è un fatto significativo.
D. – Professore, Obama lancia messaggi di speranza, di unità. Promette misure per una maggiore eguaglianza sociale. Si trova comunque un Paese in ansia per la crisi economica e si trova di fronte sfide pesanti sullo scacchiere internazionale. Ragionevolmente, che cosa potrà realizzare?
R. – Temo che alcune aspettative rispetto ad Obama saranno inevitabilmente deluse, perché la realtà di fondo in cui dovrà operare è così complessa e spinosa; per esempio, innanzitutto, nel sistema politico americano è quasi impossibile perseguire una politica estera e dinamica ambiziosa insieme con una politica dinamica e ambiziosa, e lui per forza dovrà scegliere di concentrarsi sulle questioni interne dove, secondo me, potrà fare qualcosa per mettere in moto l’economia americana ma intanto dovrà per forza trascurare alcune sfide esterne, almeno per il momento. E poi, lui opera dentro i parametri accettati sia da Clinton sia da George Bush, i parametri di una politica estera vaticana “imperiale” nel senso che con impegni in ogni angolo del mondo. Chi pensa che questo cambierà, che ci sarà una vera svolta nella politica estera americana, sarà sicuramente deluso. Prevedo più continuità che cambiamento a livello di politica estera.
D. – Professor Harper, l’immagine dell’America, degli Stati Uniti come superpotenza mondiale è stata annebbiata in questi anni, è stata una pagina nera da questo punto di vista. Adesso, il mondo già sta guardando diversamente agli Stati Uniti: ha recuperato tutta quella dimensione di traino e di speranza?
R. – Sicuramente. Obama proverà a non deludere queste speranze, queste aspettative. Per esempio, il solo fatto di essere alla Casa Bianca manda un messaggio di speranza, di cambiamento, di vitalità del sistema americano. Però, come dicevo, nella sostanza è difficile che cambi rotta radicalmente, per esempio nel Medio Oriente: è difficile. I margini di manovra sono così stretti che temo che non si vedrà un cambiamento di fondo. Intende, peraltro, proseguire con maggiore energia la guerra in Afghanistan che – a mio avviso – forse non risulterà una scelta vincente, ma è quasi costretto, volendo andare via dall’Iraq, a non trascurare, a non abbandonare l’Afghanistan.
D. – Ma i punti di convergenza, diciamo così, di punti di vista con l’Europa sono davvero forti e reali, in alcune materie?
R. – Sì. Rispetto all’altra amministrazione ci sono più punti di accordo e di intesa e di simpatia a livello culturale, tra Obama e gli europei. Però, è anche vero che Obama probabilmente chiederà di più agli europei, per esempio un impegno in Afghanistan e in Medio Oriente: non so se questa richiesta di fare di più, di mandare più soldati, sarà beneaccetta in Europa. Qui si potrebbe prevedere qualche incomprensione e tensione, su questo punto.
D. – Professore, ci dice lei come vede questi punti di convergenza con l’Europa? Quali sono?
R. – La crisi dell’ambiente, il protocollo di Kyoto su come affrontare il problema del riscaldamento del pianeta: sicuramente questa amministrazione è molto più vicina all’Europa …
D. – Anche Guantanamo …
R. – Anche Guantanamo, che è una delle prime cose che farà, anzi, l’ha già annunciato, sarà di chiudere Guantanamo, anche se ci vorrà un po’ di tempo per motivi tecnici, di risistemare queste persone e di liberarne altre; ma sicuramente, questo avrà un valore simbolico importante.
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1 commento:
che ci fanno queste anime davanti alla chiesa....
due famiglie disarmate di sangue si schierano a resa....
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