giovedì 5 marzo 2009

Il Concilio che i media divisero fra “conservatori” e “progressisti". Intervista a Matthew Lamb (Sussidiario)


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VATICANO II/ Il Concilio che i media divisero fra “conservatori” e “progressisti"

INT. Matthew Lamb giovedì 5 marzo 2009

Matthew Lamb, assieme al suo collega dell’università «Ave Maria» in Florida Matthew Levering, è autore di un importante volume sul Concilio Vaticano II (Vatican II. Renewal within Tradition, Oxford University Press, 2008). A cinquant’anni dall’annuncio della convocazione del ventunesimo Concilio della Chiesa cattolica, il dibattito sulla sua interpretazione è ancora molto vivace. Ilsussidiario.net ha chiesto allo stesso professor Lamb, decano della Facoltà teologica, di spiegare il risultato del suo lavoro.

Come è nata l’idea del volume da lei curato, qual è la sua impostazione e come è strutturato?

L’idea del libro ha un’ origine remota ed una prossima. L’origine remota: ero un giovane studente di teologia alla Pontificia Università Gregoriana a Roma durante le ultime due sessioni del Concilio. Il senso del sacro nel Concilio, con le Sante Messe e le preghiere che incorniciavano tutti i dibattiti, indicava come questo XXI Concilio ecumenico fosse in continuità con la grande Tradizione magisteriale della Chiesa.
I Padri conciliari erano di fronte alle sfide e alle situazioni nuove della fine del XX secolo e cercavano di rispondervi con riforme in continuità con le grandi verità della nostra fede cattolica.

Però io notavo che i giornalisti che si occupavano del Concilio per i mass-media non comprendevano questi aspetti teologici dei dibattiti. Al contrario, inserivano le loro informazioni nelle categorie politiche di “conservatori” contro “progressisti”.

Nel mondo anglofono questo è esemplificato al meglio dalle Letters from the Vatican di Xavier Rynne, pubblicate dal New Yorker. Era lo pseudonimo di un sacerdote redentorista, Francis X. Murphy, e non pochi tra i periti tendevano a cadere in questa retorica diffusa da giornali, settimanali, radio e televisione che si occupavano del Concilio. L’origine prossima. Nell’estate del 2002 incominciai a discutere con colleghi in Nord America e in Europa riguardo alla necessità di offrire una comprensione dei 16 documenti del Concilio alla luce della grande tradizione bimillenaria della fede cattolica. Nella primavera dell’anno successivo la lista dei collaboratori era stilata ed iniziò il lavoro di stesura. Come linee guida prendemmo i sei principi di interpretazione dei documenti indicati dal Sinodo dei Vescovi del 1985:

1) continuità dei documenti conciliari con la tradizione cattolica;

2) ciascun passaggio è illuminato dal contesto sapienziale dell’intero Concilio;

3) leggere i nove decreti e le tre dichiarazioni alla luce delle quattro costituzioni;

4) la portata pastorale dei documenti deriva dalla dottrina cattolica;

5) il dogma e la dottrina cattolici esprimono il vero spirito del concilio;

6) perciò tutte le sfide e situazioni nuove alle quali si rivolgono le riforme conciliari possono venire comprese adeguatamente alla luce della continuità della fede cattolica.

Mentre stavamo lavorando al libro fu eletto papa Benedetto XVI. Nel suo primo discorso egli enunciò il suo «impegno ad attuare il Concilio Vaticano II, sulla scia dei miei predecessori e in fedele continuità con la tradizione bimillenaria della Chiesa».
Poi, quando tenne l´allocuzione alla Curia nel dicembre del 2005, risultò chiaro che stava spiegando che cosa era necessario nell’ermeneutica del Concilio.

Pertanto la struttura del libro è la seguente: il discorso di papa Benedetto apre il volume, segue poi un’introduzione dei curatori. A ciascuna delle 4 costituzioni conciliari sono dedicati due capitoli; a ciascuno dei 9 decreti e delle 3 dichiarazioni è riservato un capitolo. Infine uno studioso protestante, il professor Geoffrey Wainwright, presenta la sua interpretazione del Concilio nella continuità; segue infine un capitolo conclusivo scritto da me.

Per molti anni, nella storiografia sul Concilio ha prevalso, almeno in Italia, l’ermeneutica della rottura rispetto a quella della continuità. Può spiegare la differenza tra le due impostazioni e perché la prima si è imposta così a lungo?

Nel mondo occidentale si è largamente diffusa l’immagine del Concilio dipinta dai media come una lotta tra conservatori e progressisti nella quale questi ultimi hanno vinto.
Come afferma Papa Benedetto nel suo discorso alla Curia, alcuni teologi contemporanei adottarono questa chiave di lettura e vennero spesso citati nei mass-media come esperti. Mi ricordo di una conferenza stampa, durante una sessione del Concilio. In essa un teologo serio stava spiegando l’importanza e il valore teologico di ciò che era stato discusso in quella giornata. Egli insistette sul fatto che l’aspetto teologico era la cosa più importante. Intervenne un altro perito il quale disse che la questione era sostanzialmente molto semplice: «I conservatori…». Il primo relatore disse di non essere d’accordo.
Ora, i mass-media fecero uso dello schema conservatori/progressisti nella loro cronaca di quell’episodio nonché di tutti gli altri dibattiti e delibere conciliari. Quando i vescovi, i sacerdoti e i religiosi incominciarono a mettere in atto le riforme conciliari si rivolsero spesso proprio a questi periti e ad altri teologi citati dai mass-media. La categoria politica di conservatori contro progressisti significava che tutte le volte che un documento conciliare citava un Concilio precedente o una precedente dottrina, si trattava di una manovra politica per indurre i conservatori a votare a favore di ciò che era nuovo.

Così, l’evento del Concilio venne considerato più importante che non i documenti, i quali spesso vennero mal interpretati come compromessi politici.

Come ha osservato Papa Benedetto: «In una parola: occorrerebbe seguire non i testi del Concilio, ma il suo spirito.

In tal modo, ovviamente, rimane un vasto margine per la domanda su come allora si definisca questo spirito e, di conseguenza, si concede spazio ad ogni estrosità». Questo condusse, come affermò papa Benedetto, a un’errata comprensione del Concilio e della Chiesa, come se il Concilio fosse «una specie di Costituente, che elimina una costituzione vecchia e ne crea una nuova». A partire dai mass-media questa nozione di rottura, di radicale discontinuità del Concilio rispetto al passato della Chiesa, incominciò ad influenzare i lavori teologici e storico sul Concilio.
Se prima del Concilio ogni prete doveva conoscere il latino e un po’ di greco, ora anche nei corsi di dottorato molti non erano in grado di leggere il latino; tanto meno il greco.
Teologi dediti alla divulgazione cominciarono ad influenzare l’educazione delle successive generazioni di teologi.
Lo studio serio dei padri greci e latini, così come dei maestri medievali venne lasciato a storici con scarsa o addirittura nessuna conoscenza degli argomenti filosofici e teologici in gioco.

La teologia cattolica dogmatica e dottrinale venne spesso ignorata per lasciare spazio a categorie derivate dalla politica, dalla psicologia e dalla sociologia. Così i lavori storici sul Concilio, nella misura in cui influenzarono l’opinione pubblica forgiata dai mass-media, diffusero la nozione di rottura – prima del Vaticano II facevamo in questo modo, ora facciamo in quest’altro – nelle diocesi, nelle parrocchie, nelle scuole e nelle università. In Italia l’Istituto di studi religiosi di Bologna, sotto la direzione di Giuseppe Alberigo, ha pubblicato una storia del Vaticano II in cinque volumi, che è stata molto influente nel concentrarsi sui dibattiti che portarono alla redazione dei documenti, a discapito del far emergere come le riforme di fatto adottate fossero in continuità con la tradizione della Chiesa. Nei paesi comunisti dell’est, invece, i mass-media non avevano la tendenza a parlare del Concilio in modo così ampio come in occidente. Così, per esempio, l’arcivescovo Karol Wojtyla e altri vescovi e teologi polacchi furono in grado di fornire una intelligenza delle riforme del Vaticano II in continuità con i principi della fede cattolica; come dimostra il libro di Wojtyla, Alle fonti del rinnovamento.

Come ha influito l’ermeneutica della rottura a livello della base della Chiesa?

La comprensione del Concilio per la maggior parte dei cattolici avvenne tramite due fonti. Una di queste furono i mass-media laici i quali riferirono del Vaticano II come se non ci fossero interventi del Magistero anteriori al Vaticano II.
Per chi era un corrispondente dall’estero per una qualunque testata fra il 1962 e il ’65 c’erano due zone al mondo dalle quali i servizi erano sicuramente ricercati: il Vietnam e il Concilio di Roma. Così i cattolici poterono leggere resoconti sul Concilio basati sullo schema dei mass-media: conservatori contro progressisti.
L’altra fonte erano le Messe le prediche nelle parrocchie.
Immediatamente dopo il Concilio ci furono in numerose parrocchie, comunità religiose e seminari esperimenti liturgici e traduzioni in lingua volgare non approvate che enfatizzavano la rottura.
La partecipazione alla Messa domenicale e la pratica dei sacramenti cominciarono a diminuire, così come le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa.
Alcuni teologi che dissentivano dagli insegnamenti della Chiesa, per esempio dall’Humanae vitae e dall'Ordinatio sacerdotalis, favorirono la nozione di rottura, specialmente da quando tale dissenso venne diffuso massicciamente nei mass- media con poco o nessun contenuto teologico serio.

A che punto è la recezione del Concilio?

Grazie ai vigorosi insegnamenti dei papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, e al fatto che nel post-Concilio sorsero molti istituti e organizzazioni sia religiosi che laici, una genuina recezione del Vaticano II è andata continuamente crescendo nel corso dei decenni passati. Molti cattolici si sono resi conto di ciò che il Concilio ha veramente insegnato e come il dissenso dottrinale e morale oscuri la mente e corrompa la vita. La verità della fede cattolica è il Signore vivente, Gesù Cristo, e noi siamo membri della grande comunione dei santi. La gioia, la bellezza, la sapienza e la santità del vangelo nella Chiesa sono testimoniate nella vita di tanti santi nel corso dei secoli e fino ai giorni nostri, per esempio in padre Pio e in madre Teresa di Calcutta.
Questo è il contesto nel quale, come ha detto papa Benedetto, la recezione genuina del Concilio Vaticano II ha saldamente guadagnato terreno. La letteratura teologica si sta applicando sempre più in una lettura delle riforme del Vaticano II all’interno della tradizione bimillenaria della Chiesa. In maniera crescente teologi cattolici, seguendo l’esempio dei Papi, stanno affrontando la sfida del terzo millennio in vista di integrare la scienza contemporanea della natura, le scienze umane e l’arte nella sapienza e nella santità del cattolicesimo – i «vetera novis augere et perficere» del programma leonino. Non c’è solamente il nostro volume sul Vaticano II, ma sta uscendo una traduzione inglese del libro dell’arcivescovo Agostino Marchetto: Il Concilio Ecumenico Vaticano II (Città del Vaticano, 2005). Questo libro offre un’accurata analisti storica e teologica dei fatti del Vaticano II, non nelle categorie drammatiche e retoriche di conservatori contro progressisti, ma in sereni e dettagliati giudizi scientifici, sia positivi che negativi, riguardanti gli avvenimenti del Vaticano II. Questo libro presenta i documenti del Concilio non solo nelle tensioni e dibattiti e nelle varie bozze durante la loro redazione, ma mostra anche come questi dibattiti hanno condotto a documenti che hanno saputo individuare le riforme necessarie per rimanere fedeli alla bimillenaria tradizione dottrinale e teologica della Chiesa.

© Copyright Il Sussidiario, 5 marzo 2009

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