mercoledì 18 marzo 2009

L'Africa che accoglie Papa Benedetto: i servizi di Bobbio, Vecchi e Calabrò


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I temi della conferenza stampa di Benedetto XVI (Sir)

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Appello del Papa: "Non abbandonate l'Africa"

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Anche nella Chiesa c'è chi voleva mettere il bavaglio al Papa ma ha fallito. La stanza del potere e quella della dottrina (Quagliariello)

Quelle parole accorate contro la «sporcizia» e l’arrivismo: il filo rosso che unisce la Via Crucis del 2005 alla catechesi su San Bonifacio (Muolo)

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Nella lettera ai vescovi Benedetto XVI ha confermato gli obiettivi irrinunciabili del suo pontificato. Il card. Ruini li analizza (Magister)

VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE IN CAMERUN E ANGOLA (17-23 MARZO 2009): LO SPECIALE DEL BLOG

DISCORSI ED OMELIE DEL SANTO PADRE IN CAMERUN ED ANGOLA

IL TESTO INTEGRALE DELLA LETTERA DEL SANTO PADRE AI VESCOVI CATTOLICI SULLA REMISSIONE DELLA SCOMUNICA AI QUATTRO VESCOVI "LEFEBVRIANI"

È giallo il continente nero

L'Africa diventa made in Cina

Capitali e manodopera di Pechino per le infrastrutture pubbliche
Espansionismo senza democrazia. Da oggi il Papa in Camerun e Angola


nostro servizio

Alberto Bobbio

Città del Vaticano

Il continente nero stempera il suo colore verso il giallo e la Cina sfida in Africa l'Europa e gli Stati Uniti con una nuova strategia imperiale neocolonialista. Lo vedrà anche Benedetto XVI che oggi arriva in Camerun e venerdì si trasferisce in Angola, Paesi neri che diventano gialli. In Camerun Pechino ha risanato la rete idrica, costruito ospedali, stadi e ha portato la coltivazione dell'artemisia annua, pianta medicinale poco costosa dalla quale si ricavano i nuovi farmaci antimalaria, made in Cina e si porta a casa tonnellate di legname. Dall'Angola prende la via della Cina oltre la metà del greggio locale e le imprese cinesi stanno costruendo porti, aeroporti, strade, ferrovie nel Paese che sta diventando uno dei primi protagonisti dell'espansionismo cinese in Africa, dopo il Sudan.
È la «sinizzazione» dell'Africa, globalizzazione di conquista non più in nome della vecchia «amicizia dei popoli», ma del capitalismo moderno e autoritario di chi ha in tasca le chiavi dell'economia mondiale ed è affamato di energia e materie prime. Pechino cominciò con lo Zambia nel 1976 e non ha più mollato. Oggi è partner commerciale al primo posto per 49 Stati africani, con scambi economici cresciuti l'anno scorso del 45 per cento, raggiungendo quasi 110 miliardi di dollari, cioè dieci volte di più dal Duemila, il doppio, per esempio, di quelli francesi. Gli Stati democratici precari del continente nero sono affascinati dalla sveltezza economica cinese e dal loro silenzio. I cinesi non fanno mai domande sui diritti umani e la giustizia e pagano senza batter ciglio ciò che si deve a chi governa. In Angola la mazzetta si chiama «gazosa».
Il Camerun è in cima alla lista dei Paesi più corrotti del mondo. E gli africani sono diventati gli alleati più fedeli di Pechino, pronti a respingere nei consessi internazionali ogni dossier di critiche occidentali a Pechino in materia di diritti umani. L'ultima volta è accaduto a febbraio all'Onu. In Angola è andata così. Nel 2002 il Paese aveva finalmente messo fine alla guerra civile con un bisogno drammatico di aiuti. Gli Usa volevano più trasparenza da Luanda e qualche impegno contro la corruzione. Arrivò Pechino che, senza far domande, ripianò il debito estero angolano. Ha troppa fame l'economia cinese e le domande in questa materia non le sono abituali, mentre l'Africa trabocca di ricchezze. Pechino non ha remore, né una missione da compiere, se non quella di nutrire il suo turbocapitalismo autoritario. Nessuno ha chiesto agli africani se va bene così. Sicuramente piace ai nuovi ricchi del continente, alle élite politico-militari al potere. Pechino esporta tecnologia, costruisce infrastrutture, riempie di armi i governi africani. Il kalashinkov cinese è l'arma più venduta. C'è un milione di cinesi in Africa. Portano tutto da casa, non si preoccupano neppure della manodopera locale. Nel libro del corrispondente di «Le Monde» per l'Africa, Serge Michel, e dell'inviato del settimanale svizzero «L'Hebdo», Michel Beuret, «Cinafrica», appena uscito in Italia per «Il Saggiatore», si racconta di un cartello visto sulla strada che da Douala porta a Yaoundé in Camerun mostrato da un africano senza lavoro che si faceva pubblicità con uno slogan neppure tanto ironico: «Più bravo dell'uomo cinese».
I cinesi traferiscono in Africa kow-how, ingegneri, tecnici e manodopera non qualificata. Secondo diverse fonti, sarebbero cinesi deportati, galeotti e oppositori politici, gente che dà fastidio in Cina, ridotta ai lavori forzati. Vivono in campi di concentramento, ammassati in tendopoli, lavorano 12 ore al giorno, al servizio del capitalismo senza pietà. In Zambia si dice siano ventimila. La pena di solito è ridotta della metà, ma con un vincolo di riscatto: non tornare mai più in patria e diventare cittadini africani. La Cina aggredisce le economie più interessanti e ricche di materia prime. Metà dell'impegno è dedicato al Sudan, ricco di petrolio e poi all'Angola per lo stesso motivo. Luanda ha tutte le caratteristiche per diventare una potenza continentale, motore dello sviluppo dell'Africa sub-sahariana. Con l'aiuto della Cina naturalmente. Dopo l'Arabia Saudita è il secondo esportatore di petrolio verso Pechino. Ma i proventi del petrolio finiscono nelle tasche di poche famiglie legate al potere dell'inossidabile Dos Santos e degli alti gradi dell'esercito. Intanto solo il 30 per cento della popolazione ha accesso all'energia elettrica, un adulto su due non ha un lavoro stabile, il 65 per cento degli angolani è analfabeta. Poi c'è il paradosso di un Paese che galleggia su un mare di petrolio, ma importa benzina, gpl e altri derivati del greggio, perché l'unica raffineria di Luanda, una società mista dove i cinesi stanno in posizione predominante, ha una capacità di trasformazione molto limitata.
Cina e Stati Uniti, l'altro acquirente del petrolio angolano, l'oro nero preferiscono raffinarlo a casa. L'Angola si avvia a diventare anche uno dei più importanti snodi telematici dell'Africa australe. Ospita uno dei terminali di Sat 3, il cavo a fibre ottiche che unisce Spagna e Portogallo al Sudafrica e poi prosegue per l'Asia, il continente del Dragone che tiene al guinzaglio l'Africa e la sua possibile democrazia.

© Copyright Eco di Bergamo, 17 marzo 2009

E IL PAPA PARTE PER CAMERUN E ANGOLA (VECCHI GUIDO) a pag. 11

AFRICA, AUMENTANO I CATTOLICI (CALABRO' M.ANTONIETTA) a pag. 10/11

PADRE MAURIZIO E I RAGAZZI DI STRADA "QUI TROVANO LAVORO E DIGNITA' " (M.A.C.) a pag. 11

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