mercoledì 18 marzo 2009
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La giovane Chiesa del Camerun e Benedetto XVI
Un mosaico di razze e culture dove i cattolici sono in continuo aumento
dal nostro inviato Mario Ponzi
È una Chiesa fresca d'annuncio quella che in Camerun accoglie il Papa. Giovane - ha poco più di cento anni - ma straordinariamente viva, in forte crescita tra la popolazione, che conta oggi oltre 18 milioni di persone. Un traguardo importante, raggiunto in questi ultimi anni grazie al sacrificio di tanti missionari e all'impegno di un laicato attento, ben formato e pronto a portare il Vangelo in ogni angolo del Paese. E non deve essere stata una cosa facile viste le numerose etnie presenti sul territorio e l'uso quotidiano di oltre 80 lingue. Eppure in questo mosaico di razze e culture è cresciuta una comunità compatta, che ha saputo in poco tempo dar vita a una Chiesa ricca di energie e pronta a offrire la sua realtà come sfondo al messaggio che Benedetto XVI porta all'intero continente.
Il Papa va in Camerun per riprendere un discorso iniziato a Yaoundé nel 1995. Un discorso teologico-pastorale, che coinvolge dunque soprattutto i pastori del grande continente nero e che riguarda il futuro di quella "Ecclesia in Africa", disegnata dalla prima assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei vescovi nell'ottobre del 1994. Nel 1995 fu Giovanni Paolo II a recarsi nella capitale del Camerun, per consegnare il documento post-sinodale. Oggi è Benedetto XVI a portare, di nuovo a Yaoundé, il documento base per la riflessione della seconda assemblea speciale per l'Africa del sinodo, che si terrà a ottobre a Roma.
Il Camerun diventa così l'emblema della continuità del magistero africano del Vescovo di Roma. E la scelta non è casuale: il Paese gode della fama di essere un'isola felice, dove la gente vive in pace pur nella molteplicità delle etnie che la popolano, lontana dalle guerre, con una certa stabilità politica, senza troppi problemi nel far quadrare i conti.
In molti ne parlano come di un'"Africa in miniatura", poiché rispecchierebbe le componenti sociali e quelle più profonde dell'anima africana. Ma qualcosa, negli anni più recenti, in Camerun, non è andata per il verso giusto. L'anno appena concluso è stato infatti scosso da una tormenta finanziaria di proporzioni gigantesche. I provvedimenti adottati per fronteggiarla hanno favorito l'inasprimento della pressione fiscale e i prezzi, soprattutto quelli dei generi alimentari e della benzina, sono finiti alle stelle con pesantissime ricadute sulla popolazione. La ribellione è scesa sulle piazze; si sono verificati scontri violenti; è rimasto nell'aria un clima piuttosto pesante.
Qualcosa di simile era già accaduto nel 2007, quando la gente era scesa in piazza per dimostrare contro i tagli dell'energia elettrica. Sono i segnali di quelle contrarietà che hanno segnato in qualche modo il volto del Paese. Prima fra tutte il declino del settore agricolo che non accenna a diminuire. La causa va ricercata nella perdurante difficoltà di accesso alla proprietà delle terre da coltivare. Ne consegue un massiccio esodo dalle zone rurali, soprattutto di giovani. I terminali finiscono per essere naturalmente le grandi città. E mentre vengono sottratte braccia all'agricoltura, si creano immense fasce di povertà che stringono d'assedio le metropoli.
Un quadro di difficoltà abbastanza comune in tutti i Paesi africani. Ma se nel Camerun la situazione è vissuta in modo quasi drammatico, è proprio perché esso è poco avvezzo a confrontarsi con difficoltà così gravi.
Infatti a metà degli anni Ottanta dello scorso secolo il Paese aveva conosciuto un trend di crescita senza precedenti, che gli era valso il titolo di oasi felice, abitata da una popolazione costituita per la maggior parte da persone qualificate e ben formate, molte delle quali uscite da istituzioni educative di ottimo livello universitario.
Tale stato di benessere è stato il frutto della stabilità politica assicurata da una democrazia paternalista, che però ha ben funzionato. Libertà, giustizia indipendente, pacifica convivenza tra le diverse etnie, azzeramento pressoché totale del debito internazionale, riduzione dell'analfabetismo (al 32 per cento contro il 58 per cento dell'intero continente), crescita costante del Pil, un guadagno medio annuo di 800 dollari pro capite (negli altri Paesi dell'Africa oscilla dai 100 ai 300). E non ultima circostanza favorevole: il Paese non è stato attraversato da guerre.
Questa bella impalcatura cominciò a scricchiolare negli anni Novanta a causa del crollo del prezzo del caffè e del cacao sul mercato internazionale. Le prime istituzioni a risentire della crisi furono quelle educative. A seguire la regressione investì la sanità e poi tutte le attività produttive.
Per di più si continuava a registrare un forte aumento della popolazione, con relativo ingigantirsi della spesa sociale. Anche sul piano internazionale il Camerun cominciò a perdere peso e considerazione. Si fecero sentire i riflessi delle crisi politiche e militari che si verificavano negli altri Paesi africani.
Le decisioni assunte per rispondere alle sollecitazioni del Fondo monetario internazionale si rivelarono disastrose per la traballante economia locale. Il risultato fu la paralisi della maggior parte dei servizi pubblici.
La piaga peggiore è comunque la corruzione a tutti i livelli. Non è un caso che i vescovi all'inizio di quest'anno abbiano lanciato un appello ai fedeli "a denunciare le piaghe che flagellano la nazione, a cominciare dalla corruzione che ostacola lo sviluppo".
Nel 2006 il governo mise in campo una vasta operazione anticorruzione. Gli effetti si fecero sentire nell'immediato, ma alla lunga la piaga si è mostrata ancora di nuovo. Circa l'80 per cento delle persone intervistate nel corso di una recente inchiesta hanno ammesso di aver dovuto pagare una tangente per ricevere un qualcosa di dovuto.
Di qui la preoccupazione espressa dall'episcopato, che non ha risparmiato neppure la comunità cristiana. Philipe Stevens, vescovo di Maroua-Mokolo, si è chiesto dove fossero in questo periodo "i quadri cristiani? Purtroppo - ha aggiunto - sono rimasti anch'essi coinvolti nelle appropriazioni indebite dei fondi pubblici destinati a scuole e ospedali. È un grande motivo di sofferenze sapere che in questa catena di corruzione dei mercati pubblici siano presenti anche persone che si dichiarano cristiane". Di qui l'appello rivolto ai fedeli di "abbandonare le vecchie pratiche che non rendono onore al loro essere cristiani" e invece si adoperino "nel cooperare allo sviluppo reale, che richiede una giusta ripartizione delle terre e l'impegno di tutti nella lotta contro la corruzione, ovunque essa si annidi". Identica preoccupazione i presuli l'hanno espressa per il futuro dei giovani.
Nonostante il quadro c'è chi è pronto ancora a scommettere sul futuro. Importante sarebbe, avvertono i vescovi, riscoprire i principi cristiani della giustizia e della verità, combattere gli abusi, evitare lo spreco di risorse pubbliche e farla finita con i favoritismi: tutte cose "che uccidono la speranza".
Una forza è rimasta in Camerun: quella della pace che unisce comunque 18 milioni di persone nonostante parlino ottanta lingue diverse. E su questa forza dovranno basarsi per ricostruire quell'immagine di isola felice che li ha portati oggi al centro del cuore della Chiesa. Il Papa viene tra loro per sostenerli ancora.
(©L'Osservatore Romano - 18 marzo 2009)
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