martedì 17 marzo 2009
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A proposito della lettera di Benedetto XVI ai vescovi
Il pastore non abbandona nessuno
Il teologo spiega perché
di Manuel Nin
Il 12 marzo 2009 Papa Benedetto XVI pubblica una sua lettera "fraterna" ai vescovi della Chiesa Cattolica "riguardo alla remissione della scomunica dei quattro vescovi consacrati dall'arcivescovo Lefebvre". Infatti il giorno 21 gennaio 2009 Papa Benedetto aveva provveduto a togliere la scomunica ai quattro vescovi che erano stati ordinati nel 1988 senza il mandato della Santa Sede.
Si tratta di un testo papale che non ha né il carattere di enciclica, neppure quello di esortazione apostolica, ma direi che semplicemente e niente di meno è una lettera fraterna indirizzata ai vescovi.
Si tratta di un testo molto diretto, scritto con schiettezza da un fratello ai fratelli; testo che ha quattro caratteristiche a partire dalle quali vorrei leggerlo: serenità, sincerità, lucidità e umiltà.
Serenità in quanto si tratta di un testo non aggressivo né accusatorio; allo stesso tempo è sincero e chiaro in quanto manifesta quello che Benedetto XVI sente e vive in questa vicenda; lucido in quanto non nasconde le difficoltà del momento ecclesiale presente, umile perché riconosce gli sbagli fatti nella procedura e nell'informazione sui fatti accaduti. Il testo della lettera può articolarsi in diverse parti.
In primo luogo, si tratta di una lettera indirizzata a tutti i vescovi della Chiesa Cattolica; l'argomento trattato non tocca soltanto alcuni episcopati che potrebbero essere più coinvolti nel tema, neanche è indirizzata agli episcopati magari più contrari e critici verso il provvedimento e verso il Papa stesso, ma è indirizzato a tutto l'episcopato cattolico. Dall'inizio Benedetto XVI situa il problema trattato nella lettera: cioè la perplessità che all'interno e fuori della Chiesa ha suscitato la revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani, perplessità manifestatasi con "una tale veemenza quale da molto tempo non si era più sperimentata", e con delle accuse ben precise dirette al Papa stesso, cioè "di voler tornare indietro, a prima del Concilio". Da partecipante e coinvolto fino in fondo nel Vaticano ii, il Papa si sente particolarmente ferito da quest'accusa. Lungo tutto il suo magistero come vescovo di Roma ha manifestato la sua continuità filiale e dottrinale col Vaticano ii. Poi per quanto riguarda la perplessità degli stessi vescovi, Benedetto XVI ne elenca due: da una parte il loro sì alla riconciliazione coi lefebvriani, ma senza dimenticare i problemi più urgenti che la Chiesa dovrebbe affrontare; dall'altra gli attacchi contro il Papa stesso vengono visti come un far venire a superficie vecchie ferite, "una valanga di proteste, la cui amarezza rivelava ferite risalenti al di là del momento". Nella lettera il Papa risponde soprattutto alla prima delle perplessità; la seconda invece, un argomento in qualche modo più ad hominem viene lasciato da parte.
In secondo luogo Benedetto XVI mette direttamente sul tavolo della discussione il "caso Williamson". Il fatto di affrontarlo subito indica come questa "conseguenza" all'interno del processo non sia per niente minimizzata neppure secondaria. La remissione della scomunica è stata "un gesto discreto di misericordia"; e questa sarà in fondo la linea portante di tutta la lettera, cioè la remissione della scomunica non tanto vista come un fatto canonico ma un fatto che va visto e vissuto all'interno del ministero di misericordia e di riconciliazione del vescovo di Roma, di qualsiasi vescovo della Chiesa. Il Papa manifesta la sua perplessità per il fatto che quello che doveva essere un invito alla riconciliazione si è trasformato nel suo contrario, letto anche in chiave di opposizione al dialogo con gli ebrei. Un fatto che il Papa deplora profondamente perché questo dialogo è frutto sì di un cammino ecclesiale che risale al Vaticano ii e al pontificato di Giovanni Paolo II, ma anche del suo "personale lavoro teologico". Interessante notare questo doppio collegamento che il Papa teologo fa nel dialogo con gli ebrei, sia a livello ecclesiale, sia anche a livello di ricerca teologica. In questo secondo punto è importante far notare la schiettezza di Benedetto XVI nell'indicare l'utilità di internet e anche la mancanza di un uso largo e completo di esso che avrebbe facilitato la conoscenza dei fatti; il Papa ne prende atto direi con umiltà e realismo.
Comunque con la stessa chiarezza che segna tutta la lettera Benedetto XVI si presenta ai suoi fratelli nell'episcopato "ferito dall'ostilità di alcuni", "grato alla fiducia di altri".
Un terzo argomento trattato dal Papa nella lettera, e da lui stesso riconosciuto come uno sbaglio palese, è il fatto della disinformazione al momento della remissione delle scomuniche: "La portata e i limiti del provvedimento del 21 gennaio 2009 non sono stati illustrati in modo sufficientemente chiaro al momento della sua pubblicazione". E qui Benedetto XVI da buon professore trae spunto dal suddetto sbaglio e spiega cos'è la scomunica: essa è un provvedimento ecclesiale che colpisce persone, che cerca di evitare nei limiti del possibile uno scisma, infine è una "punizione dura" che dovrebbe servire a richiamare al pentimento e al ritorno alla piena comunione. Quindi per il Papa la scomunica è più una pedagogia verso la piena comunione che non una lacerazione nella comunione ecclesiale. Fu alla prima udienza generale dopo la remissione delle scomuniche che Benedetto XVI diede dei chiarimenti sulla portata ecclesiale e dottrinale dei fatti avvenuti; lui stesso in quell'udienza cercò di colmare i vuoti informativi dei giorni precedenti. Nella lettera il Papa distingue chiaramente tra disciplina ecclesiale e dottrina, sottolineando la centralità e importanza sia della persona sia della dottrina della Chiesa. In questa parte della lettera vengono fuori l'imprescindibile doppia figura di pastore e di teologo di Papa Ratzinger: "La remissione della scomunica era un provvedimento nell'ambito della disciplina ecclesiastica: le persone venivano liberate dal peso di coscienza costituito dalla punizione ecclesiastica più grave. Occorre distinguere questo livello disciplinare dall'ambito dottrinale".
Come diretta conseguenza del terzo argomento ve n'è un quarto, ovvero il collegamento che dovrà avvenire tra la commissione Ecclesia Dei e la Congregazione per la Dottrina della Fede.
Portando il problema lefebvriano a livello dottrinale, il Papa ha pertanto agito proprio in maniera contraria rispetto a quanto affermato da una certa lettura dei fatti "come se niente fosse...", anzi arriva a un vero e proprio "c'è molto in gioco".
Troviamo in questa parte forse il punto più importante della lettera, che segna tutto il magistero di Papa Ratzinger nei suoi grandi documenti: "Non si può congelare l'autorità magisteriale della Chiesa all'anno 1962 - ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità San Pio X. Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano ii porta in sé l'intera storia dottrinale della Chiesa".
Un quinto argomento (e qui il Papa teologo fa ritorno al Papa pastore) mette in luce i veri problemi della Chiesa. Non si tratta di una giustificazione.
Si è trattato piuttosto di dire in modo schietto che il problema lefebvriano (e il boom mediatico che ha suscitato la remissione della scomunica) non lo distolgono nel suo ministero pastorale rispetto a quelli che sono i veri problemi e priorità che la Chiesa deve affrontare. Priorità legate al suo ministero di vescovo di Roma e alla chiamata all'evangelizzazione ricevuta dai vescovi, da tutti i cristiani.
Questo è direi lo scopo di tutto il pontificato di Benedetto XVI, dall'omelia ad eligendum fatta ancora da cardinale alla vigilia del conclave del 2005, all'omelia all'inizio di pontificato fino alle catechesi settimanali.
Di nuovo ancora da teologo, Benedetto XVI dà due definizioni che saranno fondamentali per capire tanti momenti del suo pontificato, quella di dialogo ecumenico e quella di dialogo interreligioso: "Lo sforzo per la comune testimonianza di fede dei cristiani - ecumenismo - è incluso nella priorità suprema (...) la necessità che tutti coloro che credono in Dio cerchino insieme la pace".
Tornando al punto iniziale della lettera, Benedetto XVI si interroga sul perché un atto che doveva essere di riconciliazione ha fatto tanto chiasso; un atto che il Papa stesso mette a un livello prettamente evangelico. La riconciliazione per il Papa è veramente necessaria: non è lecito abbandonare la pecora smarrita; mai Benedetto XVI nega che si tratti di pecore smarrite; ed è per questo che agisce da buon pastore.
A questo punto, avviandosi verso la fine della lettera, Benedetto XVI apre il cuore di pastore grato e allo stesso tempo ferito, e riconosce in tutte le situazioni ecclesiali le cose buone e allo stesso tempo quelle che sono fuori posto: "le cose stonate - superbia e saccenteria, fissazione su unilateralismi".
A conclusione della lettera, Benedetto XVI collega sia la lettera sia soprattutto i fatti - remissione della scomunica, reazioni suscitate e la stessa presente lettera - alla lectio da lui stesso fatta del testo di Galati, 5, 13-15 al Seminario Romano per la festa della Madonna della Fiducia a metà febbraio di quest'anno: ""Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!". Sono stato sempre incline a considerare questa frase come una delle esagerazioni retoriche che a volte si trovano in san Paolo. Sotto certi aspetti può essere anche così. Ma purtroppo questo "mordere e divorare" esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata. È forse motivo di sorpresa che anche noi non siamo migliori dei Galati? Che almeno siamo minacciati dalle stesse tentazioni? Che dobbiamo imparare sempre di nuovo l'uso giusto della libertà? E che sempre di nuovo dobbiamo imparare la priorità suprema: l'amore?".
I fatti che hanno suscitato la presente lettera sono analizzati lucidamente e schiettamente da Papa Ratzinger, e lui stesso ne prende atto, nelle cose buone e negli sbagli commessi e sicuramente evitabili, per fare che il governo collegiale della Chiesa col vescovo di Roma - a cominciare dagli episcopati mondiali fino agli organismi della Santa Sede a Roma - siano strumenti di collaborazione per il bene di tutta la Chiesa.
Queste righe sono nate da una lettura della lettera di Benedetto XVI, un testo a cuore aperto di un fratello ai fratelli. Siamo di fronte a un testo che ci manifesta quei quattro aspetti sì di Joseph Ratzinger, ma soprattutto di Benedetto XVI nel suo ministero come vescovo di Roma, aspetti a cui facevamo riferimento all'inizio di queste righe: serenità, sincerità, lucidità ed umiltà.
Siamo di fronte a uno dei grandi testi del magistero pontificio di Papa Ratzinger, Papa pastore, Papa teologo, Papa da un cuore umano e umile capace di rallegrarsi e di soffrire con e per i suoi fratelli e i suoi figli.
(©L'Osservatore Romano - 16 - 17 marzo 2009)
Bellissimo!
R.
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