martedì 17 marzo 2009
Quelle parole accorate contro la «sporcizia» e l’arrivismo: il filo rosso che unisce la Via Crucis del 2005 alla catechesi su San Bonifacio (Muolo)
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servire la verità
Quelle parole accorate contro la «sporcizia» e l’arrivismo
Dalla Via Crucis del 2005 alla catechesi di mercoledì scorso c’è un «filo rosso» nella riflessione di Ratzinger sulla qualità delle relazioni intraecclesiali Che ha trovato espressione nella lettera sulla remissione della scomunica ai vescovi lefebvriani
DA ROMA MIMMO MUOLO
«Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Cristo. Quanta superbia, quanta autosufficienza».
Destarono sensazione e sorpresa queste parole dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, scritte durante la Quaresima del 2005 e inserite tra le meditazioni della Via Crucis del Venerdì santo di quell’anno, pochi giorni prima della morte di Giovanni Paolo II e del conclave in cui sarebbe stato eletto suo successore.
Quella denuncia senza mezzi termini torna in mente adesso, dopo la pubblicazione della Lettera di giovedì scorso, che Benedetto XVI ha scritto ai vescovi di tutto il mondo per spiegare la remissione della scomunica ai vescovi lefebvriani.
Il filo rosso che unisce i due scritti è evidente.
Anche perché in altre occasioni – in questi primi anni di pontificato – Papa Ratzinger ha espressamente manifestato la sua preoccupazione per un modo distorto di vivere i rapporti intraecclesiali.
Si pensi ad esempio a quanto il vescovo di Roma disse il 24 novembre 2007, durante il Concistoro per la creazione di 23 nuovi cardinali.
In quella occasione – commentando la pagina evangelica in cui Giacomo e Giovanni chiedono a Gesù i posti migliori nel futuro Regno dei Cieli – il Papa parlò di «arrivismo dei discepoli» e di «corsa ai privilegi».
Pericoli dai quali gli uomini di Chiesa non sono immuni neanche oggi.
«Non la ricerca del potere e del successo, ma l’umile dono di sé per il bene della Chiesa deve caratterizzare ogni nostro gesto ed ogni nostra parola – disse ai cardinali –. La vera grandezza cristiana, infatti, non consiste nel dominare, ma nel servire». Gli interventi di queste ultime settimane sono, dunque, ulteriori perle infilate dal Papa sulla stessa collana di invito ad una comunione che si alimenta anche di umiltà.
Alla luce della Lettera di giovedì si comprendono meglio, infatti, sia la Lectio Divina ai seminaristi maggiori di Roma, lo scorso 20 febbraio, sia la catechesi di mercoledì scorso. Nella prima occasione il Pontefice, prendendo spunto da un passaggio della Lettera ai Galati («Se vi mordete e vi divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni con gli altri»), ricordò che certe polemiche «nascono dove la fede degenera in intellettualismo e l’umiltà viene sostituita dall’arroganza di essere migliori dell’altro».
Perciò Benedetto XVI sottolineò: «Anche oggi ci sono cose simili dove, invece di inserirsi nella comunione con Cristo, nel Corpo di Cristo che è la Chiesa, ognuno vuol essere superiore all’altro e con arroganza intellettuale vuol far credere che lui sarebbe migliore. E così nascono le polemiche che sono distruttive, nasce una caricatura della Chiesa, che dovrebbe essere un’anima sola ed un cuore solo». Quindi concluse con un invito all’esame di coscienza: «Non pensare di essere superiori all’altro, ma trovarci nell’umiltà di Cristo, trovarci nell’umiltà della Madonna, entrare nell’obbedienza della fede».
Quella obbedienza che ebbe in San Bonifacio, evangelizzatore dei germani, un campione esemplare. «La testimonianza coraggiosa di Bonifacio è un invito per tutti noi ad accogliere nella nostra vita la parola di Dio come punto di riferimento essenziale, ad amare appassionatamente la Chiesa, a sentirci corresponsabili del suo futuro, a cercarne l’unità attorno al successore di Pietro», ha sottolineato il Papa mercoledì scorso. «Paragonando questa sua fede ardente, questo zelo per il Vangelo alla nostra fede così spesso tiepida e burocratizzata – ha quindi concluso – vediamo cosa dobbiamo fare e come rinnovare la nostra fede, per dare in dono al nostro tempo la perla preziosa del Vangelo».
Dono che è poi l’obiettivo dichiarato di Benedetto XVI. Convinto che solo una Chiesa mondata dalle sporcizie e capace di una fede non burocratizzata potrà essere all’altezza di un simile compito.
© Copyright Avvenire, 15 marzo 2009
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3 commenti:
Il decano Friedl della diocesi di Linz ha dovuto lasciare l'incarico di decano ma è rimasto parroco. Secondo me, o si toglie il celibato obbligatorio (magari come fanno i preti ortodossi che si possono sposare prima dell'ordinazione, vescovi esclusi) o si fanno rispettare a tutti le regole vigenti. E' vero che finora molti casi sono stati ignorati, ma davanti a una situazione esplicita, non si può passarci sopra. San Bonifacio, che stava in quel di Magonza, dovrebbe fare un miracolo nelle sue terre. Saluti, Eufemia
Concordo!
E' necessario affrontare di petto il problema perche' ignorarlo significa perdere ulteriori fedeli!
R.
Che Friedl abbia dovuto lasciare il suo posto di "decano" è già un segno, concreto!!! Speriamo che poi si proceda, pur con prudenza, ma anche con tenacia, a togliere a questo servo "infedele" (o fedele alla sua compagna) il posto di "parroco"!
Oppure che si proceda nell'introduzione di quel doppio grado di sacerdozio che già hanno gli ortodossi.
L'uno o l'altro.
La storiella delle tre scimmiette, che "non vedono, non sentono, non parlano" su certe situazioni "spinose", è una storiella popolare, non una parabola evangelica (e non deve nemeno essere una metafora della Chiesa!)
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