martedì 24 marzo 2009

Pretendo il mea culpa da chi diceva che Benedetto XVI non è amico degli ebrei (Giorgio Israel)


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Su segnalazione della nostra Lapis leggiamo:

Pretendo il mea culpa da chi diceva che Benedetto XVI non è amico degli ebrei

La straodinaria lettera del Papa sul caso dei lefebvriani dà ragione a chi, per esempio Jacob Neusner, ha sempre sostenuto che è proprio grazie a uomini come Ratzinger che il dialogo fra ebrei e cristiani vive e prospera

di Giorgio Israel

È un documento davvero straordinario e destinato a passare alla storia la lettera di Benedetto XVI ai vescovi della Chiesa cattolica circa la remissione della scomunica ai quattro presuli consacrati dall’arcivescovo Lefebvre.
Lo è in primo luogo per la chiarezza assoluta con cui viene esaminato il caso in tutti i suoi risvolti, anche a costo di affrontare la polemica e pronunziare giudizi crudi. Non un dettaglio è trascurato (persino il ruolo di internet), non un aspetto è lasciato in ombra, in particolare per quel riguarda le implicazioni scandalose del caso Williamson derivanti dalle sciagurate dichiarazioni negazioniste sulle camere a gas. Ma lo è soprattutto per il tono appassionato con cui il Papa ha messo a nudo il suo animo e le intenzioni che lo hanno guidato nell’affrontare questa vicenda. Ne discende che aveva ragione chi, nelle tempeste di questi ultimi mesi, ha sostenuto che i rapporti ebraico-cristiani non erano compromessi in alcun modo dalle scelte di Benedetto XVI.
Il rabbino Jacob Neusner, con le cui tesi il Papa aveva intessuto un dialogo teologico nel suo Gesù di Nazaret, ha sostenuto, al contrario, che è proprio grazie a uomini come lui che il dialogo ebraico-cristiano vive e prospera. Egli ha riconosciuto la bontà delle intenzioni del Papa, osservando che il nuovo corso iniziato con il Concilio «è stato riaffermato nella risposta che con cuore puro il Papa ha dato alla mia conversazione immaginaria inserita nel mio libro». È un corso che potrà avere intoppi, ha dichiarato Neusner, ma è irreversibile. E la stragrande maggioranza dell’ebraismo mondiale ha aderito a tesi simili riprendendo in pieno il cammino del dialogo.
È anche la tesi sostenuta ripetutamente da chi scrive, insieme ad altri ebrei italiani come Guido Guastalla, e che ci è costata una serie di nutriti lanci di pietre. Sarebbe preferibile non parlare di casi personali in una rubrica, ma ci sono circostanze in cui si ha diritto a togliersi dalle scarpe qualcuna di quelle pietre. Quando sostenemmo che la nuova preghiera del Venerdì santo non doveva essere intesa come un arretramento verso una logica di conversione forzata qualcuno ci trattò come “ebrei di corte”. Quando venne avanzata la proposta di interrompere il dialogo ebraico-cristiano manifestammo in modo pacato il nostro dissenso. Apriti cielo. Alcuni esponenti dell’ebraismo italiano, presumendo di avere un’autorità dogmatica, ci attaccarono in modo violento, nello stile “taci tu, ché soltanto io ho il diritto di parlare”. Poi venne il caso Williamson e fummo tra i primi a chiedere il massimo di chiarezza, certi che sarebbe venuta proprio dal Papa, proprio perché eravamo convinti della trasparenza delle sue intenzioni.
Allora è venuta una scarica di legnate da parte di alcuni cattolici convinti che per dimostrare di essere tali bisogna eccedere in zelo e mostrarsi fanatici: presuntuosi e arroganti ebrei che “attaccano” il Papa, è stato detto, proprio a chi lo aveva difeso da attacchi infondati.
Ora, dopo che proprio dal Papa è venuta la conferma più autorevole che era giusto quanto venivamo dicendo e che i fatti hanno dimostrato quanto fossero ingiuste e detestabili quelle scariche di pietre provenienti da entrambi i lati, sarebbe naturale ricevere delle sentite scuse. Ne è venuta una soltanto, e da una persona che ha avuto un ruolo secondario nei lanci. Troppo poco. Quantomeno ci si attenderebbe un decoroso silenzio. Ma, si sa, un bel tacer non fu mai scritto. Difatti, alcuni dei protagonisti di quelle incivili aggressioni si stanno attivando per proporsi come protagonisti del rinnovato dialogo ebraico-cristiano… No comment.

© Copyright Tempi, 24 marzo 2009

Fa piacere questo articolo del prof. Israel.
Io stessa rimasi molto male nel leggere le sue critiche al Santo Padre in seguito alla revoca della scomunica ai Lefebvriani.
Queste parole sono come un balsamo e sono sicura che anche Benedetto XVI apprezza questa onesta' intellettuale
.
R.

3 commenti:

mariateresa ha detto...

Sì , cara , Israel è un uomo onesto. Anche quando ha criticato io avevo fiducia.Le autocritiche le aspettiamo un pezzo, sia in campo ebraico che cattolico.
L'autocritica non esiste: solo il ripetere bovinamente i propri fondamentali.Guai a mettersi in crisi.

Ora segnalo questo, da una rivista da cui non attingiamo mai, Adista

http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa200903/090324bertani.pdf


Lungi da me dare un giudizio positivo sulla rivista, non mi è proprio possibile. Ma il nuovo direttore si sforza di parlare un linguaggio nuovo e ne prendo atto volentieri.
Non è necessario criticare la Chiesa e il papa come cani arrabbiati.
E il lato umano di Bertani mi è piaciuto.Forse non a tutti i lettori di Adista.
Parere personale.

Anonimo ha detto...

conosco il prof.Israel,l'ho ascoltato a una conferenza fianco a fianco del cardinale Caffarra a BO,parlava del relativismo,ha parlato di Benedetto XVI,mi ha sorpreso,è un appassionato difensore del Papa,affermava e dimostrava come Benedetto XVI sia la mente più lucida e onesta del mondo culturale occidentale.
consiglio i sui libri sul relativismo che vengono boicottati dalla grande distribuzione.

Anonimo ha detto...

Fra tante cose buone, notare, tuttavia, che Israel non invita i suoi correligionari a chiedere scusa al Papa e alla Chiesa, ma a lui, perché lo avevano criticato.