domenica 15 marzo 2009

Manfred Lütz, teologo e psichiatra: Il Papa, ferito dalle polemiche, ha risposto con stile di pastore (Galli)


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Manfred Lütz, teologo e psichiatra: ferito dalle polemiche, ha risposto con stile di pastore

DI ANDREA GALLI

Saggista di successo – dal bestseller Il pia­cere della vita all’ultimo Dio. Una piccola storia del più Grande –, teologo e psichia­tra, Manfred Lütz è una delle più autorevoli vo­ci del laicato cattolico in Germania.
Ha preso parte al dibattito sul caso «Fraternità San Pio X» e alle reazioni di questi giorni all’ultima lettera di Benedetto XVI – rivolta ai vescovi e dedicata alla remissione della scomunica ai quattro ve­scovi lefebvriani –, in prima linea, tra passaggi televisivi e commenti sulla stampa. È membro del Pontificio Consiglio per i laici e della Ponti­ficia Accademia per la vita.

Dottor Lütz, tutti manifestano la loro vicinan­za al Papa dopo la sua lettera, anche i vescovi che fino a tre giorni fa lo hanno attaccato sen­za remore. Prodigi dello Spirito Santo o ipocri­sia?

«Non si deve escludere l’a­zione dello Spirito Santo, la conversione è una categoria cristiana molto importante. Credo che la lettera del Papa abbia fatto una grande im­pressione. Non è stata la let­tera di un funzionario, ma di un uomo che ha detto con molta franchezza, tra l’altro, di essere stato ferito. E questo ha colpito molto».

Un Papa mite, che ha senti­to sulla sua pelle l’intolle­ranza dei sedicenti tolleran­ti. Paradossale, no?

«Come psichiatra e psicote­rapeuta so bene cos’è l’intol­leranza dei tolleranti. Ci so­no persone che si ritengono tolleranti e non vedono la propria intolleranza, che è e­sclusa dal loro modo di con­cepirsi. Questa psicologia si è vista prepotentemente in questo caso. Anche quando venivano portati chiarimen­ti inequivocabili.
È stato fat­to notare più volte, per e­sempio, come il Papa abbia tolto la scomunica non solo ai lefebvriani ma anche ai ve­scovi legati al partito comu­nista cinese.
E comprensibil­mente, perché tra i compiti di un Pontefice, servitore e garante dell’unità della Chie­sa, c’è quello di sanare divi­sioni che durano nel tempo».

Le resistenze, anche da par­te episcopale, si erano già vi­ste con l’applicazione del motu proprio «Summorum Pontificum». Come se ci fosse un’insofferenza diffusa a tutti quegli atti che ricordano che la Tradizione della Chiesa non inizia con il Con­cilio Vaticano II.

«I progressisti radicali e la Fraternità San Pio X usano entrambi lo stesso paradigma nell’inter­pretazione del Concilio. Entrambi leggono il Va­ticano II come una rottura, in senso negativo o positivo. Un paradigma che non è cattolico. Quello cattolico riconosce una tradizione che non si interrompe ed è viva.
Benedetto XVI ha operato per riaffermare questa visione toccan­do un nervo scoperto e suscitando reazioni ag­gressive da parte tradizionalista e da parte pro­gressista. Quest’ultima, in questo senso, è del tutto simile alla Fraternità San Pio X».

Ci si morde e ci si divora» scrive Benedetto X­VI nella sua lettera...

«In Germania, una volta c’era tensione fra cat­tolici e protestanti. Oggi c’è un buon clima. Ma l’aggressività tra cattolici e protestanti è passa­ta all’interno del cattolicesimo stesso, tra con­servatori e progressisti. Anche all’interno del mondo riformato è avvenuta una cosa simile, con la divisione tra protestanti ed evangelici. Con alleanze inedite: i progressisti cattolici e i protestanti hanno contestato il Papa, mentre u­na delle difese decisive di Benedetto XVI è ve­nuta da Idea, la rivista più importante del mon­do evangelico».

Alle volte viene da pensare che da parte di qual­cuno ci sia un’insofferenza o un odio del Papa in quanto tale, ogni qualvolta si permette di e­sercitare la propria autorità petrina.

«È vero. Usando una chiave di lettura psicolo­gica, nella nostra società senza padre, come l’ha definita Alexander Mitscherlich, la Chiesa cat­tolica (quella governata appunto da un Santo Padre) è pressoché l’unica istituzione contro cui si può protestare. Essa attira su di sé l’aggressi­vità di coloro che non hanno più un padre con­tro cui scagliarsi.
Ma la paternità di Benedetto XVI è, in verità, tutto fuorché autoritaria.
Con il suo stile amabile e misericordioso, questo Pa­pa è l’esatto contrario di un 'Panzerkardinal', come amavano chiamarlo, tra l’altro, proprio coloro che oggi godrebbero nel vedere dei cri­stiani scomunicati».

Il Papa è solo, come tanti dicono?

«Penso che come ogni uomo che è stato ferito, in questo momento si possa sentire solo. Ma è anche vero che un uomo che reagisce come ha fatto nella sua lettera, e mi riferisco anche al­l’attenzione che ha avuto nel ringraziare chi lo ha sostenuto, dimostra di saper bene di non es­sere solo.
Va poi definitivamente sfatata l’idea secondo cui Benedetto XVI sarebbe estraneo al mondo di oggi. Mentre è un teologo che ha pas­sato tutta la vita ad analizzare, con una sensibi­lità impressionante, la cultura contemporanea».

Perché non è stato così aperto, si lamenta qual­cuno, verso i teologi della liberazione?

«Qui si riscontra spesso l’ignoranza della stam­pa laica, che sa cos’è una fatwa ma non sa più cosa sia una scomunica.

Per quanto riguarda la teologia della liberazione, ci sono state delle pre­se di posizione di carattere dottrinale e disci­plinare nei confronti dei singoli teologi, ma nes­suno è stato scomunicato.

Ai quattro vescovi della Fraternità San Pio X è stata tolta una sco­munica, ma, come è chiaro nella lettera, resta­no anche per loro dei problemi dottrinali e di­sciplinari da risolvere. I progressisti che chie­dono di usare subito la scomunica per sanzio­nare una visione teologica o storico-politica, vo­gliono tornare implicitamente al Medioevo. Del nefasto uso 'politico' della scomunica e della necessità, per un Papa che sia conscio del suo mandato spirituale, di revocarla di fronte a un penitente che lo chiede, abbiamo un esempio famoso nel passato: quello di Gregorio VII che a Canossa, contro i suoi vantaggi personali e politici, decise di perdonare il penitente Enrico IV. Di fronte alla domanda di Enrico: 'sei un re­gnante o un sacerdote?', Gregorio VII e Bene­detto XVI hanno dato una ri­sposta comune. Il Papa è in­nanzitutto sacerdote».

Cosa succederà dopo questa lettera?

«Sono uno psicoterapeuta e come tale sono abituato a chiedermi qual è il bene che si può trarre dal male. In que­sto caso, direi innanzitutto che in Germania non si è mai parlato tanto del Concilio Vaticano II come nelle ultime setti­mane. Non abbia­mo mai parlato tan­to del dialogo tra e­brei e cristiani e del­la Nostra Aetate.
Il ruolo del Papa è sta­to percepito come pastorale e discreto, anche se questo per alcuni è irritante. Infine, per quanto ri­guarda la Fraternità di San Pio X, che ha mostrato molta ar­roganza fino a poco tempo fa, il fatto che l’affaire William­son abbia fatto soffrire visi­bilmente Benedetto XVI, li ha indubbiamente colpiti. Lo si è visto nelle reazioni di Fellay e degli altri leader.
E questo li ha portati a una moderazione di toni inedita. La sofferenza, per i cristiani, può avere frut­ti salvifici».

© Copyright Avvenire, 15 marzo 2009

Bellissima intervista!!!!
I miei complimenti all'intervistato ma anche all'intervistatore che ha posto domande piu' che pertinenti!
Grazie per questo regalo
.
R.

2 commenti:

mariateresa ha detto...

sì, l'articolo più bello di Avvenire.

Anonimo ha detto...

Benedetto XVI ha operato per riaffermare questa visione toccan­do un nervo scoperto e suscitando reazioni ag­gressive da parte tradizionalista e da parte pro­gressista.
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A chi allude il teologo psichiatra quando parla di reazioni aggressive da parte traizionalista?