martedì 3 marzo 2009

Papa Pacelli nel ricordo dell'arcivescovo Montini (Osservatore Romano)


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Papa Pacelli nel ricordo dell'arcivescovo Montini

Un'umanità salda fra gli errori tragici della storia

In un testo mai pronunciato - nella raccolta dei Discorsi e scritti milanesi 1954-1963 è indicato come Frammento (con l'indicazione "non usato") per il discorso in Duomo che fu tenuto il 12 ottobre 1958 - Giovanni Battista Montini ricorda la figura del Pontefice appena scomparso.

Che Egli fosse Uomo buono, tutti sappiamo. Aveva ricevuto doni naturali copiosissimi custoditi in sembianze fisiche esili e deboli, ma resistenti e protette da una sobrietà e da una regolarità di vita semplice ed austera, quasi claustrale, che ben si addiceva all'innocenza e alla mitezza del suo animo; un animo fine, gentile, sensibilissimo, ma non emotivo; dotato di grandissima versatilità, pronta e inesauribile; di memoria prodigiosa, fotograficamente fedele, al servizio d'un temperamento equilibrato e sereno, e penetrato da pietà abituale e composta.
Poi un'educazione sana e imbevuta di spirito romano, un po' aristocratico e classicheggiante, ma ricco altresì di buon senso e di buon umore di popolo, e forte d'un vigilante senso del dovere, testuale e preciso, che si palesava in uno sforzo continuo di perfezione formale e morale, presente nelle piccole cose - la puntualità, la calligrafia, la purezza della lingua, il ricordo dei particolari... - e nelle grandi cose - i suoi discorsi, la sua arte diplomatica, la coscienza della sua missione, la sua visione del mondo.
Poi un'esperienza unica. Quella della vita romana, quella della fede cattolica, quella del servizio alla Santa Sede. Come, non ricordare, ad esempio, che per le sue mani, in quattordici anni d'incessante lavoro, passò tutta la legislazione della Chiesa nella formulazione di quella sintesi di secoli di letteratura giuridica, che è il Codice di Diritto Canonico? e come non ricordare che dalle sue mani uscirono non pochi di quei Concordati con gli Stati dell'Europa superstite dopo la prima guerra mondiale, che collaudano il Diritto pubblico della Chiesa ad amichevole contatto con il Diritto delle Nazioni moderne?
Poi un Pontificato unico. Voi lo conoscete. Fra i più lunghi che la storia dei Papi registri. Fra i più delicati e più duri insieme. La posizione della Chiesa è quella che tutti sanno: si regge ora per sole forze spirituali, come società religiosa, ma visibile e organizzata in questo mondo; in un mondo che generalmente e ufficialmente si dice laico, o agnostico, e addirittura ateo, cioè non considera, - per non dire: non riconosce e non tollera - quelle medesime forze spirituali di cui vive la Chiesa. Il suo equilibrio è quello d'una nave sopra un mare agitato.
La barca di Pietro è investita da questa mobilità, da questa avversità, dell'elemento in cui svolge il suo corso. Avete mai riflesso alla contrarietà di questi due simboli: la barca e la Pietra? Vacillante l'immagine del primo simbolo e vacillante la realtà ch'esso delinea; immobile l'immagine del secondo, come immobile la realtà che pur esso esprime: ed insieme vanno, nei secoli, Pietro e la barca a significare due opposte, ma vitalmente complementari prerogative della Chiesa, la sua relatività alla storia e alla condizione umana e la sua trascendente fermezza al disegno e alla virtù divina che reca con sé. Ebbene, questa strana sintesi assurge nel Pontificato di Pio XII a grado mai visto.
Nessun Pontificato forse ha tanto subito la violenza e l'insidia delle trasformazioni del mondo; pensate alla guerra gigantesca che tutta si è svolta nel suo periodo, pensate all'evoluzione economica, scientifica, sociale e politica della vita contemporanea, che sembra scuotere ogni cardine di pensiero e di legge morale e religiosa. E nessun Pontificato forse è stato vicino alla vita umana come quello che con la morte di Pio XII ora si è chiuso.
Crediamo sia questa la caratteristica saliente della sua ventennale opera apostolica: l'accostamento al mondo moderno.
È stato voce principalmente. Ricordo che nella prima Udienza che Pio XII, appena eletto Papa, concesse a S. Ecc. Mons. Tardini ed a me, che eravamo rimasti, sempre alle sue dipendenze, alla direzione degli uffici della Segreteria di Stato, ebbe a dire, quasi sgomento dell'immane dovere che Gli cadeva su le spalle: "Ora dovrò parlare; chi sa quanto parlare!". E parlò.
Lo sappiamo. Ma dobbiamo notare come la Sua parola di Vicario di Cristo non solo fece eco, come doveva, alla voce della rivelazione divina, ma risuonò, continua e potente, come voce della coscienza umana. I diritti del Vangelo apparvero coincidenti con quelli dell'uomo. L'umanità ebbe in Pio XII il suo interprete, il suo araldo, in ore di confusione ostinata e di tragici errori.
E spesso ancor più che Dottore, apparve l'Amico del nostro tempo. Le grandi tesi della civiltà moderna ebbero in Lui l'assertore più informato e più coerente: i temi della giustizia, della pace, del diritto e del dovere, della libertà, della persona umana, del lavoro, della democrazia, della scienza, economia, dell'arte, e dite pure della medicina, dell'arte, del cinema, dello sport, e innumerevoli altri, ascoltammo trattati e pervasi da una Verità e da un Amore, che ben scopriva il credente, intuiva l'incredulo, ammiravano tutti. Egli pensò, Egli studiò, Egli conobbe, Egli sofferse, e finalmente Egli espresse questa nostra vita umana, nei suoi principii sacri e profondi, nelle sue manifestazioni più evidenti e più recondite, più comuni e più singolari.
La Sua versatilità lo rese enciclopedico: amò anzi moltiplicare i suoi interventi, valendosi delle sue mirabili virtù poliglotte, nei campi più remoti e più impervii, e sempre con tocco di competenza scientifica e con colpo d'ala spirituale volante alle somme cause. Parlò di tutto. Parlò con tutti. Divenne suo programma: instaurare omnia in Christo, tutto bisogna ricondurre a Cristo. Oh, non nuovo programma! Pio X e Pio XI non lo ebbero pure? Ma Pio XII lo svolse in un'amplissima ed accuratissima opera oratoria, che arricchisce il patrimonio della letteratura ecclesiastica e che tramanderà nel tempo il nome di tanto Maestro.
E alla voce si unì l'opera. Questa fu naturalmente contenuta nei perimetri concreti delle limitate possibilità della Sede Apostolica, ma tale essa parimente fu, da dare al mondo il senso e la speranza, la prova spesso d'una carità dappertutto vigile ed operante. Ma oltre la misura di quest'opera, bisogna osservarne le direzioni. E prima direzione, la più evidente, la più seguita, fu quella della pace. Era la sua divisa: opus iustitiae pax. Fu il suo impegno. L'arte Sua di trattare con gli uomini responsabili non cessò mai d'esplicarsi in questo senso, tanto umano e tanto cristiano. Quegli avversarî, che per partito preso accusarono ed accusano il Papa d'aver favorito la guerra, dovrebbero cercare per i loro tristi scopi un'accusa più intelligente e meno clamorosamente smentita, non solo dai fatti e dall'universale testimonianza degli onesti, ma dagli stessi amici di tali avversarî. Ricordo la meraviglia prodotta dalla lettera rivolta alla Santa Sede dallo scienziato Curie, nella quale egli stesso candidamente riconosceva che il Papa aveva sempre cercato di promuovere la pace fra le nazioni. E premio quasi di questa Sua azione audace e tenace di pacificazione durante la guerra più distruttrice che la storia ricordi, strappò agli uomini, o meglio ottenne dalla Provvidenza, di preservare Roma dalla rovina.
Così ogni altra direzione dell'opera Sua è rivolta a fare del cristianesimo la grande beneficenza intellettuale, morale e sociale del mondo, un'incessante manifestazione di verità, di bontà e di carità.
Ma non è possibile ora descrivere, anche in minima parte, quest'opera immensa. Ci piace accennarvi così, per ritornare al nostro dolore d'aver perduto Uomo così buono e così grande, e ancora per chiederci perché dobbiamo pregare per Lui.

(©L'Osservatore Romano - 2-3 marzo 2009)

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