domenica 7 dicembre 2008

Alessio II lascia in eredità il dialogo con Roma (Zizola)


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Su segnalazione di Alessandro leggiamo questa analisi di Zizola per "Il Sole 24Ore".
R.

ANALISI

Lascia in eredità il dialogo con Roma

di Giancarlo Zizola

Nell'eredità di Aleksej II si impone la prospettiva dell'indipendenza spirituale che egli ha saputo conferire alla Chiesa russa dapprima garantendone la sopravvivenza sotto l'immane pressione del regime dell'ateismo di Stato, poi nell'imprimereuna direzione forte alla rinascita, senza per questo cedere alle antiche reciprocità col potere politico, forse anzi riuscendo a condizionarlo.
Questa premura per l'autonomia costituisce una porzione particolarmente delicata della responsabilità affidata a chi sarà eletto a succedergli dal Santo Sinodo. Ma rimane una linea impegnativa, se, come fa rilevare il vescovo Vincenzo Paglia, responsabile dell'ecumenismo per la Cei, la tendenza al compromesso politico è «statutaria» nelle Chiese autocefale della galassia ortodossa, con legami di dipendenza che continuano a essere intessuti anche dopo la fine del regime comunista. Un merito tanto più significativo del Patriarca, e tanto più a considerare la complessità della situazione sinodale russa, dove le alleanze paradossali tra vecchi comunisti, nazionalisti e slavofili costituiscono un pericolo ciclico per le prospettive di apertura ecumenica e di dialogo.
L'altro punto sensibile dell'eredità patriarcale è il contenimento delle spinte disgregatrici dei nazionalismi. La questione dell'unità interna della Chiesa russa, comeè stata la grande sfida di Aleksej, così rimane il problema principale dell'avvenire. È una battaglia che Aleksej ha dovuto sostenere su più fronti: quello interno, in particolare con il conflitto con gli ortodossi ucraini, sfociato in scisma, e con le comunità ortodosse russe all'estero; e sul fronte del dialogo con la Chiesa di Roma, la grande croce di Aleksej.
A un esame spassionato, i dirigenti del Vaticano hanno dovuto riconoscere che non sempre le ragioni obiettive del Patriarca erano state riconosciute e che egli era stato lasciato troppo solo, se sono state moltiplicate, già verso la fine del regno di Giovanni Paolo II, le iniziative di riconciliazione verso Mosca. La grande crisi era motivata dalla protesta di Mosca per l'espansionismo dei greco-cattolici in Ucraina occidentale e per l'attività di proselitismo svolta da nuclei di ultracattolici zelanti in missione nei territori tradizionalmente ortodossi.
I chiarimenti intervenuti hanno rasserenato progressivamente il clima. Un progresso delle relazioni ecumeniche sarebbe favorito dalle affinità verificatesi tra Aleksej e Benedetto XVI, sul piano dell'Europa cristiana e dello sviluppo del dialogo teologico.
Se altri passi potranno essere compiuti in direzione della pace ecumenica tra le due Rome molto dipenderà dalla linea che riuscirà a prevalere nel Sinodo russo, tra un recupero identitario e difensivo del riflesso ecclesiastico e uno sviluppo delle aperture ecumeniche così care ad Aleksej, anche se rimaste frustrate dalle circostanze politiche. A lui viene riconosciuto il merito di aver ristrutturato la gerarchia ecclesiastica, pianificato la ricostruzione degli edifici di culto, recuperato i santi e martiri del cristianesimo russo del Novecento, inclusa la famiglia dell'ultimo Czar.

© Copyright Il Sole 24 Ore, 6 dicembre 2008

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