venerdì 5 dicembre 2008

Giuseppe Stabile intervista Vittorio Messori: "Perchè credere non è roba da cretini"


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Riceviamo e con grande piacere e gratidutine pubblichiamo questa bellissima intervista di Giuseppe Stabile a Vittorio Messori a proposito del libro-intervista "Perchè credo" scritto con Andrea Tornielli.
Grazie ancora per la cortesia
.
R.

VITTORIO MESSORI

LO SCRITTORE ITALIANO PIÙ LETTO NEL MONDO, PER LA PRIMA VOLTA RACCONTA LA SUA CONVERSIONE

PERCHÉ CREDERE...NON È ROBA DA CRETINI

di Giuseppe Stabile

Attraverso i suoi scritti milioni di persone in tutto il mondo hanno ricevuto doni inestimabili. Nel suo ultimo libro, appena uscito, Vittorio Messori ci regala, però, il suo tesoro più intimo: le ragioni della sua fede ed i retroscena della sua miracolosa conversione.
Dalla quale sgorga ancora l’inesauribile desiderio di aiutare altri ad incontrare quel Gesù a cui prima era assolutamente indifferente.

Dottor Messori, grazie perché ha voluto donarci se stesso in questo suo ultimo “Perché credo”.

«Non lo avrei mai scritto se non ci fosse stata la bravura e l’affettuosa insistenza di Andrea Tornielli che mi ha aiutato a trovare il coraggio di aprirmi in questo modo. Non sono uno che si confida, anzi mi devo fare forza per raccontare di me. Ecco perché ho aspettato la mia età avanzata per decidermi a scrivere un libro come questo».

Lei è una persona chiusa?

«Sì, è una tendenza che si è sviluppata fin da bambino. Le abitudini che prendiamo da piccoli poi ci restano incrostate dentro».

Come era da bambino?

«Ero scontroso e solitario. In fondo non credo di essere mai stato davvero bambino.
Precocemente, appena ho imparato a leggere, mi piaceva soprattutto una cosa: ritirarmi in un angolo a leggere un libro ed a pensare. D’altro canto ero solo e mio fratello è nato quando avevo quasi dieci anni. Uno dei miei problemi è che la mia abitudine alla solitudine ha fatto sì che di fronte alle difficoltà mi debba far violenza per parlarne con qualcuno e confidarmi, farmi aiutare».

La sua difficoltà nelle relazioni personali ha influito anche sul suo percorso spirituale?

«Certo, a partire dalla mia prima confessione a 23 anni suonati, che è stata difficilissima.
Inoltre sento il desiderio e la necessità di un direttore spirituale, ma la mia chiusura mi è sempre stata di ostacolo a questa preziosa ed importantissima pratica».

Il suo carattere introverso ha le radici nella sua esperienza familiare?

«Credo di sì, perché non ho avuto una vita familiare felice. Ho stima e rispetto per i miei genitori, che sono deceduti da poco. So che, in buona fede, hanno fatto tutto quello che potevano fare; però c’erano tra loro delle difficoltà caratteriali che hanno fatto sì che per noi due figli la convivenza sia stata difficile e dolorosa.
Questa esperienza mi ha segnato. Nonostante tutto però, sono convinto che la prospettiva cattolica della famiglia indissolubile faccia parte del piano di Dio, mi schiero e parteggio per i diritti della famiglia e credo che vada riscoperta».

Oggi in Italia circa il 50% delle famiglie si separa e c’è il più basso tasso di natalità del mondo. Perché? Come intervenire?

«Non so cosa si dovrebbe fare, ma sono convinto della necessità di impegnarsi a partire dal livello personale ed individuale. Ciascuno si faccia la sua famiglia e cerchi di fare in modo che sia più cristiana possibile. Io, però, cerco di occuparmi di qualcosa che sta ancora prima; cioè della Fede, della possibilità di credere».

Qual è la sua esperienza coniugale?

«Oggi sono felice, ma ho vissuto anni molto travagliati. Conobbi mia moglie Rosanna ad Assisi, alla fine di una Messa, pochi mesi dopo la mia e la sua conversione. Dopo un periodo di frequentazione, però, prendemmo strade diverse, pur restando sempre in contatto. Nel 1972 mi sposai con un’altra donna, ma ci rendemmo subito conto di non aver fatto la scelta giusta. Chiesi allora l’annullamento del matrimonio che fu accordato dopo ben ventidue anni! Solo a quel punto, nel 1996, potei coniugarmi con Rosanna e cominciare la mia nuova vita insieme con lei».

Le dispiace di non aver avuto figli?

«Mi sarebbe piaciuto avere dei bambini, ma ho accettato la mia vita così come è andata.
Apprezzo ed ammiro chi ha famiglie numerose, ma ognuno ha la sua vocazione: la mia era quella di fare “figli di carta” più che figli di carne. Credo che anche la paternità e maternità spirituale o intellettuale siano vocazioni importanti. Per me i miei libri sono come dei figli».

Quali messaggi ha affidato ai suoi “figli di carta”?

«Nei miei 22 libri ed in tutte le migliaia di articoli che ho scritto, non ho mai trattato di temi morali, né fatto prediche o lezioni di etica. La morale è importante, ma credo che, insieme all’impegno nella Carità, sia una conseguenza della Fede. Quello che oggi stiamo perdendo è la Fede, la consapevolezza che il Vangelo è vero».

Come iniziò la sua incredibile carriera di scrittore e divulgatore?

«Sono sempre stato molto pragmatico e concreto.
Ognuno dei miei libri ha uno scopo ben preciso: valutare se in quella lontana estate del 1964 la mia esperienza mistica di conversione non fosse stata solo un’illusione. Non riuscivo a trovare risposte alle mie domande e mi ritrovai a scrivere libri che avrei preferito leggere.
Nei miei testi ho cercato quale era il significato di quella Fede che mi era stata donata e le ragioni per le quali poteva essere accettata da un uomo moderno e razionale».

Pur consapevole, per esperienza diretta, dell’impossibilità di spiegare certi accadimenti, non posso non chiederle: cosa successe in quella fatidica estate del 1964?

«Avevo 23 anni, lavoravo come centralinista notturno e stavo per scrivere la mia tesi di Laurea in Scienze Politiche. Era un’estate molto calda ed ero in città da solo, dato che i miei genitori erano partiti con mio fratello per una vacanza un po’ più lunga del solito. Un giorno avvenne un evento inspiegabile ed inatteso che avrebbe trasformato la mia esistenza. Come racconto più approfonditamente in questo ultimo libro, feci una forte esperienza mistica: improvvisamente si aprì davanti ai miei occhi un immenso buco di luce ed il velo che oscura la realtà svanì. In quei giorni lessi per la prima volta i Vangeli ed oggi, dopo tanti anni, sono sempre più sicuro che in essi c’è la vera risposta per ogni essere umano. In seguito non ho avuto altre esperienze simili, né visioni o apparizioni, ma mi è stata donata una chiarezza intellettuale che non ho potuto più rinnegare».

Come cambiò la sua vita?

«Io ero un convinto laicista ed anticlericale ed all’improvviso crollò tutto! La conversione mentale fu istantanea, ma convertirsi interiormente è ben più difficile e so di non essere stato sempre coerente. All’inizio ero spaventato e non molto contento di quegli avvenimenti che imponevano uno sconvolgimento a tutti i miei piani umani e professionali, compreso l’addio alla mia bella carriera accademica già predestinata.
Le confido, inoltre, che mi misi a piangere pensando: “se divento cristiano cattolico, non posso più corteggiare ed amare le ragazze!”».

Come reagirono le persone che le erano vicine?

«All’inizio ho cercato di resistere per non diventare cristiano, anche perché un po’ mi vergognavo, per esempio nei confronti dei miei famosi professori, come Norberto Bobbio o Galante Garrone, che si sentivano traditi da un loro pupillo. Andavo a messa di nascosto: mia madre credeva che avessi avuto un esaurimento nervoso e voleva farmi visitare. I pochissimi amici, infine, erano sorpresi ed addolorati».

Alla fine, si arrese alla Fede?

«Mi resi conto che la Verità che cercavo non stava nel vicolo cieco del razionalismo e del laicismo che avevo seguito fino a quel momento, ma in una direzione che avevo sempre rifiutato.
Avevo condannato la Fede senza aver mai cercato di conoscerla e di capirla».

Qual è la sfida che vuole lanciare con questo suo ultimo libro “Perché credo”?

«Nel nostro tempo c’è un grande vuoto di cultura cattolica. Le librerie sono piene di libri che vogliono screditare e rendere ridicola la fede cristiana e cattolica in particolare. È necessario impegnarsi per rispondere con forza ai velenosi volumi di persone come Corrado Augias e Dan Brown o di astiosi ex seminaristi come Piergiorgio Odifreddi ed altri che vogliono far passare per stupido chiunque crede in Gesù, sostenendo che per una persona intelligente e moderna non ha senso credere nel Cristianesimo. Proprio per questo, nella quarta di copertina del mio ultimo libro c’è scritto: “Un cristiano, non un cretino”».

È possibile conciliare fede e ragione?

«Mi fanno tanto ridere quelli che dibattono se la ragione può coesistere con la Fede. La ragione è un dono di Dio che dobbiamo utilizzare al massimo e dopo decenni di ricerche ho potuto constatare che il vero libero pensatore è il credente; l’incredulo si pone delle barriere invalicabili, mentre il credente è libero di arrendersi ai fatti. La ragione ci porta fino alla soglia del mistero, mentre la Fede ci porta oltre».

Sbaglio o essere atei è quasi passato di moda?

«L’ateismo è una religione al contrario e la persona atea è sempre a rischio di conversione.
L’ateo prende sul serio la religione, ci si scaglia contro, svelando che per lui, in fondo, essa è importante. Molto più duro e subdolo è invece l’agnosticismo, oggi tanto in voga, che ritiene l’ateismo una cosa volgare: le persone di cultura si astengono dal giudizio perché la religione è irrilevante. Loro si sentono al di sopra, ritenendo sciocchi i credenti e volgari gli atei».

Cosa vuol dire oggi essere credenti?

«Essere cristiani e cattolici significa non essere passivi di fronte all’ideologia egemone, sfidando l’ipocrita e feroce sorriso del “politicamente corretto”, così come il conformismo del “Maurizio Costanzo pensiero”. Un cristiano oggi è chiamato a prendere delle posizioni, anche in campo etico, che provocano delle forti reazioni. L’unica strada è ritornare ad essere come i cristiani dei primi decenni dopo la Resurrezione di Gesù, accettando le stesse sfide di chi viveva prima dell’Imperatore Costantino. Occorre dare la testimonianza di una fede personale, supportata anche da una profonda formazione culturale, senza dover naturalmente diventare tutti degli intellettuali.
La sfida passa attraverso la coerenza e la limpidezza
delle nostre scelte quotidiane, consapevoli di essere sempre più in minoranza e chiamati all’anticonformismo».

Essere cattolico significa rinunciare alla propria libertà?

«Assolutamente no. So bene che, visto da fuori, il cattolicesimo può sembrare una gabbia dalla quale fuggire, piena di moralismo, dogmi e norme che tolgono la gioia di vivere. Ma accettare la Fede non vuol dire rinchiudersi in una trappola: la prigionia semmai è da parte di coloro che non credono.
Il mondo moderno si ritiene libero, ma ritengo che mai l’uomo sia stato così schiavo. Bisogna testimoniare che essere cristiani non significa essere cretini e che non si deve rinunciare a nulla, ma guadagnare tutto».

Come vive oggi la gente il rapporto con la religione?

«Negli ultimi decenni le chiese si sono sempre più svuotate e le vocazioni religiose sono continuamente diminuite. L’unica cosa che aumenta è il numero di pellegrinaggi, soprattutto nei santuari mariani che frequento spesso per motivi personali e di studio. È lì che incontro folle di persone di tutte le età e categorie sociali, gente che spesso non frequenta più la propria parrocchia ma è attratta dalla manifestazione della presenza materna della Madonna.
Oggi Maria è il simbolo della religione popolare, vissuta da tutte quelle persone alle quali la Chiesa dovrebbe sforzarsi di rivolgersi».

Con quale atteggiamento interiore possiamo vivere l’Avvento ed il Natale di Gesù?

«Tutti vediamo come è stato ridotto il Natale.
Ma attenzione a non cadere nelle prediche e nel facile moralismo! Una delle virtù cristiane è il realismo e dunque dobbiamo renderci conto che abbiamo realizzato una società che si regge sul consumo. Non voglio certo difendere il consumismo, ma dobbiamo fare i conti con la cultura e la società che abbiamo attorno, magari scegliendo il regalo giusto. Ci sono molte persone che non hanno più bisogni economici ma sono assetati nello spirito: per loro il regalo più prezioso da ricevere potrebbe essere, per esempio, una bella lettera, oppure essere coinvolti in un confronto sulla persona di Gesù, il Messia che viene tra noi. Il Natale o ha un valore religioso oppure è soltanto la festa di Papà Inverno. Invece si chiama Natale perché qualcuno è nato ed era una persona con la P maiuscola».

Quale regalo chiede alla Vita?

«La sola cosa che mi interessi è aiutare a credere o, almeno, instillare il desiderio di farlo».


L’AMICIZIA CON BENEDETTO XVI

Vittorio Messori ha avuto un forte legame personale con gli ultimi due pontefici, ma in modo particolare con Benedetto XVI. «La mia amicizia con Lui risale a molti anni fa. Mi sono sempre ritrovato nella sua prospettiva di Fede ed è stato uno dei pochi uomini di Chiesa che mi ha sempre sorretto nel mio lavoro spesso difficile e solitario.
Per lui ho sempre avuto una stima profonda, come uomo, sacerdote e studioso. È una persona un po’ timida, buonissima, piena di rispetto per gli altri: insomma tutto il contrario di come è stato spesso dipinto».
Inoltre c’è un’altra cosa che ci lega: siamo nati entrambi il 16 Aprile, che è lo stesso giorno nel quale si festeggia Santa Bernadette, la giovinetta di Lourdes alla quale apparve Maria 15 anni fa».

LO SCRITTORE DEI DUE PAPI

Vittorio Messori è l’unico giornalista ad aver scritto libri con due Pontefici.
Con Karol Wojtyla scrisse “Varcare la soglia della speranza” (Mondadori, 2004) del quale è stata venduta l’incredibile cifra di circa trenta milioni di copie in più di cinquanta lingue. Nel 1985 pubblicò invece “Rapporto sulla Fede” intervistando l’allora Cardinale Joseph Ratzinger, l’attuale Papa Benedetto XVI, che
nel suo ultimo libro ha dato a Messori l’onore di essere l’unico italiano vivente citato.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Che uno come Messori parli di "annullamento" mi meraviglia. Non esiste solo una constatazione di nullità? Saluti, Eufemia

Anonimo ha detto...

Ho letto l'intervista a Messori.
Trovo molto discutibile mettere insieme il romanzo di Dan Brown (per me di nessun interesse), i due libri di divulgazione storica di Augias, fatti con due autorevoli studiosi della Storia del Cristianesimo Antico, ed il libro di Oddifreddi (anch'esso di scarso interesse per me).
I libri di Augias vanno discussi sul piano delle tesi storiche, non su quello della Fede/Ateismo.
Un saluto a tutti

Anonimo ha detto...

A propisito del libro di Augias-Cacitti.

Per Carla.
Tu il libro lo hai solo sfogliato. Io invece l'ho letto.
Ed il passo evangelico "Tu es Petrus" non è affatto ignorato. Anzi il Capitolo X del Libro (pag.151-165) si chiama proprio "Tu es Petrus...".
A tal proposito Cacitti spiega che la "Chiesa" presso i primi cristiani era una realtà escatologica e non istituzionale. E' ben noto che i primi cristiani attendevano l'imminente ritorno di Cristo come dimostrano tanti passi dei Vangeli e delle Lettere di Paolo.
Ad esempio nella Prima lettera ai Tessalonicesi, Paolo scrive (4, 16,17) "I Signore stesso, a un ordine, alla voce dell'arcangelo e al suono della tromba di Dio, dicenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, i vivi, i superstiti, saremo rapiti insieme con loro tra le nubi per andare incontro al Signore". E' evidente, da questo passo, come Paolo, all'epoca della redazione della Lettera, si aspetti il ritorno di Cristo entro pochi anni, prima della sua morte (che avvenne nel 64 d.C.). Tra l'altro questa Lettera è probabilmente il più antico testo cristiano, precedente anche i Vangeli sinottici.

A me nel complesso il libro è piaciuto, utile per discutere e per approfondire alcune tematiche della Storia del Cristianesimo delle origini.

Anonimo ha detto...

Per Carlo
Inchiesta con pregiudizio
di Roberto Beretta

Pretende di essere una indagine oggettiva. Vuole darci la figura del «Gesù terreno», in carne e ossa, senza bisogno della fede. Ma il libro del duo Augias e Pesce è macchiato dal pregiudizio di una “fede” laicista che ne smonta la pretesa scientifica.

[Da «il Timone» n. 63, maggio 2007]

Sembra molto di moda, il «Vangelo di Giuda». Così si chiama un testo apocrifo del II secolo, ritrovato da poco su papiro e la cui pubblicazione sta facendo successo in libreria. Ma ci sono anche altri «Vangeli di Giuda» in circolazione, studi e testi che «tradiscono» — come fece l’Iscariota nel Getsemani — la vera realtà di Gesù di Nazareth presentandone un’immagine falsa, parziale, basata su trame fantasiose di complotti ecclesiastici (vedi il «Codice da Vinci») oppure immaginando manipolazioni segrete di ciò che sappiamo di Cristo.

Un testo del genere appare il recente «Inchiesta su Gesù» (Mondadori), firmato dal giornalista agnostico Corrado Augias e dallo studioso del cristianesimo Mauro Pesce; uno del volumi più venduti delta stagione. Se ne è occupato in modo critico Marco Fasol, professore di filosofia e storia, già autore de «Il Codice svelato» (Edizioni Fede & Cultura), che ora presenta «I vangeli di Giuda»: un capitolo del quale è dedicato appunto al lavoro di Pesce e Augias.

«Inchiesta su Gesù»: professore, a 30 anni dal best seller di Vittorio Messori «Ipotesi su Gesù», dovremmo rallegrarci che qualche altro «laico» torni a occuparsi in modo indipendente della figura di Cristo. O no?

«In questo caso direi di no. È vero che le notizie riferite dall’autorevole studioso Mauro Pesce sulle radici ebraiche di Gesù sono spesso interessanti e originali. Ma è altrettanto vero che le conclusioni cui arriva il giornalista Augias vanno ben al di là delle prudenti affermazioni del suo collaboratore.
Augias dice di scrivere «in buona fede», però rivela ben presto, nelle primissime pagine, che la sua prospettiva è quella che definisce i Vangeli come «contradditori, lacunosi, manipolati». E allora comprendiamo subito che non si tratta certo di un’analisi oggettiva. Il punto di partenza sembra scientifico perché coinvolge un esperto dello spessore di Pesce, ma il punto d’arrivo è scettico e direi agnostico. Per Augias la fede è una scelta antirazionale, antistorica».

Il libro vorrebbe invece ricostruire proprio la figura del «Gesù terreno», in carne e ossa, al di fuori della prospettiva di fede e in maniera oggettiva, scientifica. Ci riesce, secondo lei?

«Assolutamente no.. Il punto di vista scientifico ed oggettivo è quello che rispetta i testi per quello che affermano, non per ciò che si vuole che dicano. Augias parte dalla fede laicista secondo cui non esiste un intervento divino nella storia e in base a questo pregiudizio interpreta i testi a suo piacimento. In altre parole presuppone quello che deve dimostrare».

In particolare, quali sono a suo parere i maggiori errori del volume, dal punto di vista storico?

«Augias non considera l’immensa documentazione papirologica del Vangeli. Si pensi che nel Novecento sono stati scoperti papiri antichissimi, che risalgono a pochi decenni dopo la stesura dei Vangeli. Abbiamo almeno 5.300 manoscritti del Nuovo Testamento greco, un numero di gran lunga superiore rispetto a tutti gli altri testi dell’antichità (si pensi che per Platone disponiamo solo di 11 manoscritti, per Tacito solo di due!). E la comparazione tra questi manoscritti dimostra la sostanziale fedeltà di trasmissione del testo lungo i secoli. Non vedo proprio come Augias possa parlare di «manipolazione». Altro errore è la mancanza di analisi linguistica. Se Augias conoscesse un po’ di ebraico ed aramaico, avrebbe potuto rilevare che la struttura linguistica dei Vangeli, pur essendo greca, rivela chiaramente un sottofondo ebraico-aramaico, segno inconfondibile di antichità e fedeltà alla lingua madre usata da Gesù.

Nelle reazioni dei critici dopo l’uscita del libro ci troviamo di fronte a due tesi contrastanti: i credenti sostengono che solo attraverso una prospettiva di fede si può capire realmente anche il Cristo storico; gli agnostici ritengono invece che un cristiano sia troppo coinvolto per essere oggettivo. Tutt’e e due le posizioni sembrano avere qualche ragione. Lei che ne pensa?

«Lo storico deve essere fedele ai testi, non ai propri pregiudizi. C’è una concatenazione serrata negli eventi raccontati dal Vangeli: predicazione — miracoli — conflitti con il ceto dirigente — processo e crocifissione — apparizioni del Risorto.
Se si toglie anche uno solo degli anelli di questa catena non si riesce più a capire l’insieme e si rende incomprensibile tutta la storia non solo di Gesù, ma di duemila anni di cristianesimo. Se lo storico, in base a pregiudizi materialisti, rinnega i miracoli o le appanzioni del Risorto, forza i testi e deforma gli eventi. Si preclude la comprensione della storia, che diventa un enigma indecifrabile».

Il razionalismo tardo-ottocentesco sosteneva per esempio che i miracoli e la risurrezione di Gesù sarebbero soltanto «simboli», non eventi reali; la cosiddetta «critica storica» riteneva che fu il cristianesimo (e in particolare san Paolo) a fare di Gesù il figlio di Dio, cosa che lui non sa sarebbe mai sognato di essere... Prospettive che sembravano superate da tempo, anche tra gli specialisti, e che invece riaffiorano nel volume. Come mai?

«Prendiamo il discorso di Augias sulla risurrezione, che è il nucleo genetico della fede. Noi abbiamo undici racconti evangelici delle apparizioni del Risorto, abbiamo le testimonianze degli Atti degli Apostoli e delle lettere di san Paolo. In tutto almeno venti racconti. I termini greci che indicano la “risurrezione” (anastasis ed egheiro, in greco) ricorrono oltre cento volte nel Nuovo Testamento! Invece Augias si limita a criticare il racconto dell’apparizione del Risorto alla Maddalena, interpretandolo come proiezione dei desideri femminili di quest’ultima. C’è un’evidente forzatura dei testi ed un’omissione di analisi assolutamente antiscientifica. Non capisco perché, se i testi sulla risurrezione sono almeno venti e le citazioni un centinaio, Augias ne riporti solo due o tre. Ed ovviamente scelga quelli che si prestano maggiormente alle sue critiche dogmatiche».

Ma e proprio vero che, studiando spassionatamente le fonti storiche, bisogna concludere che Gesù era solo un uomo?

«È vero esattamente il contrarlo. Se rispettiamo i testi, spassionatamente, dobbiamo riconoscere che l’unica spiegazione ragionevole, plausibile degli eventi è quella che riconosce l’irruzione nella storia di una rivelazione etica e teologica sconvolgente tutti gli schemi umani e quindi di origine divina. Come avrebbe potuto la ragione umana pensare un Dio crocifisso? Che poi risorge da morte? Come avrebbe potuto concepire un amore gratuito, rivolto anche ai peccatori, disposto al perdono?».

Come si spiega il successo dell’«Inchiesta su Gesù»? Tanta incertezza del lettori di fronte a certe tesi non indica anzitutto che manca una vera cultura cristiana?

«Dobbiamo superare il fideismo e arrivare a una fede matura, capace di rendere ragione del credo cristiano, di controbattere gli Augias o i Dan Brown di turno. Viviamo dopo due secoli di illuminismo e dobbiamo inserire nella Catechesi anche un capitolo sulla storicità del Vangeli e sulla loro attendibilità. È quello che Benedetto XVI sembra suggerire all’inizio del suo primo libro da pontefice».

Tutte le bugie su Gesù
I vangeli di Giuda. Le verità nascoste dei vangeli apocrifi (Fede & Cultura, Verona, 2007), ultimo libro di Marco Fasol, è un efficace aiuto per chi è disorientato dagli attacchi laicisti al Gesù storico. Multinazionali dell’informazione come National Geographic e Sky sfornano documentari e pubblicazioni sui vangeli apocrifi, sull’apocrifo di Giuda, sul Codice da Vinci e per guadagnare audience spettacolarizzano gli eventi, anzi li creano, dicendo che le nostre conoscenze sul Gesù storico andrebbero riviste: molti apocrifi sarebbero stati insabbiati dalla Chiesa. Questa operazione mediatica, agevolata dall’ignoranza del grande pubblico, sta procurando effetti devastanti. Sono i più giovani i più esposti a fraintendimenti dell’autentico messaggio cristiano. Il saggio di Fasol spiega che le fonti vanno valutate attentamente. Non si possono accomunare testi provenienti da mondi completamente diversi, sia come lingua e cultura, sia come epoca e collocazione geografica, Così, si può dire che il tradimento di Giuda si è moltiplicato nella storia ad opera di quegli autori gnostici che hanno voluto accreditare le loro opere come “vangeli” di origine apostolica, per veicolare più facilmente le loro teorie filosofiche. È da questi ripetuti tradimenti che nasce il titolo al plurale.

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