venerdì 13 marzo 2009

"Caso Lefebvriani": una parola chiarificatrice. Lettera di Benedetto XVI ai vescovi cattolici (Sir)


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“CASO LEFEBVRIANI” - Una parola chiarificatrice

Lettera di Benedetto XVI ai vescovi cattolici

Lettera di Benedetto XVI ai vescovi cattolici

“Una parola chiarificatrice, che deve aiutare a comprendere le intenzioni che in questo passo hanno guidato me e gli organi competenti della Santa Sede. Spero di contribuire in questo modo alla pace nella Chiesa”. Con queste parole Benedetto XVI spiega il senso della “lettera ai vescovi della Chiesa cattolica riguardo alla remissione della scomunica dei quattro vescovi consacrati dall’arcivescovo Lefebvre”, datata 10 marzo e resa pubblica giovedì 12. I quattro vescovi – Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson e Alfonso del Gallareta (appartenenti alla Fraternità San Pio X) – erano stati consacrati il 30 giugno 1988 senza mandato pontificio ed erano quindi incorsi nella scomunica latae sententiae, cioè automatica, dichiarata formalmente dalla Congregazione per i vescovi il 1° luglio 1988. La remissione della scomunica è giunta con un Decreto della medesima Congregazione, firmato il 21 gennaio 2009 dal cardinale prefetto Giovanni Battista Re. Questo atto, scrive il Papa, “per molteplici ragioni ha suscitato all'interno e fuori della Chiesa cattolica una discussione di una tale veemenza quale da molto tempo non si era più sperimentata”.

Il caso Williamson, disavventura imprevedibile.

“Una disavventura per me imprevedibile – rileva Benedetto XVI – è stata il fatto che il caso Williamson si è sovrapposto alla remissione della scomunica”. All’improvviso, spiega, “il gesto discreto di misericordia verso quattro vescovi è apparso come la smentita della riconciliazione tra cristiani ed ebrei”. A tal riguardo il Pontefice precisa che “la condivisione” e la “promozione fin dall'inizio” dei “passi di riconciliazione tra cristiani ed ebrei fatti a partire dal Concilio” sono stati un obiettivo del suo “lavoro teologico”. Il fatto che si siano sovrapposti “due processi contrapposti”, prosegue il Papa, “è cosa che posso soltanto deplorare profondamente”. Ed aggiunge: “Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante Internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema. Ne traggo la lezione che in futuro nella Santa Sede dovremo prestar più attenzione a quella fonte di notizie”. Benedetto XVI si dice “rattristato” dal fatto che “anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un’ostilità pronta all’attacco”. Proprio per questo ringrazia “gli amici ebrei che hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l'atmosfera di amicizia e di fiducia”, che “continua ad esistere” come “nel tempo” di Giovanni Paolo II.

Sanzioni disciplinari e problemi dottrinali.

Altro “sbaglio” che il Papa riconosce e per il quale esprime “rammarico” è il non aver illustrato, “in modo sufficientemente chiaro”, “la portata e i limiti del provvedimento” con cui è stata rimessa la scomunica. Il Pontefice spiega che “la remissione della scomunica” serve per “invitare i quattro vescovi ancora una volta al ritorno”; tuttavia “occorre distinguere il livello disciplinare dall'ambito dottrinale” e “finché le questioni concernenti la dottrina non sono chiarite, la Fraternità non ha alcuno stato canonico nella Chiesa, e i suoi ministri – anche se sono stati liberati dalla punizione ecclesiastica – non esercitano in modo legittimo alcun ministero”. Alla luce di questa situazione Benedetto XVI annuncia l’“intenzione di collegare in futuro la Pontificia Commissione Ecclesia Dei – istituzione dal 1988 competente per quelle comunità e persone che, provenendo dalla Fraternità San Pio X o da simili raggruppamenti, vogliono tornare nella piena comunione col Papa – con la Congregazione per la dottrina della fede”. Con ciò “viene chiarito che i problemi che devono ora essere trattati sono di natura essenzialmente dottrinale e riguardano soprattutto l’accettazione del Concilio Vaticano II e del magistero post-conciliare dei Papi”, sottolineando che “non si può congelare l'autorità magisteriale della Chiesa all'anno 1962”.

Cercare la riconciliazione.

Nella lettera, Benedetto XVI s’interroga poi sulla necessità del provvedimento adottato, e se questo costituisse “una priorità”. Ebbene, osserva, “condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia” è “la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del successore di Pietro in questo tempo”. “Da qui – precisa – deriva come logica conseguenza che dobbiamo avere a cuore l'unità dei credenti”, e se “l'impegno faticoso per la fede, per la speranza e per l'amore nel mondo costituisce in questo momento (e, in forme diverse, sempre) la vera priorità per la Chiesa, allora ne fanno parte anche le riconciliazioni piccole e medie”. Ne consegue una domanda: “Era ed è sbagliato andare anche in questo caso incontro al fratello che «ha qualche cosa contro di te» e cercare la riconciliazione”, impegnandosi “per lo scioglimento di irrigidimenti e di restringimenti, così da far spazio a ciò che vi è di positivo e di ricuperabile per l'insieme?”. Ed ancora: “Può lasciarci totalmente indifferenti una comunità nella quale si trovano 491 sacerdoti, 215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti universitari, 117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo davvero tranquillamente lasciarli andare alla deriva lontani dalla Chiesa?”.
“Io stesso – conclude – ho visto, negli anni dopo il 1988, come mediante il ritorno di comunità prima separate da Roma sia cambiato il loro clima interno; come il ritorno nella grande ed ampia Chiesa comune abbia fatto superare posizioni unilaterali e sciolto irrigidimenti così che poi ne sono emerse forze positive per l'insieme”.

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