sabato 21 marzo 2009

L'arrivo del Papa in Angola e il discorso al Corpo Diplomatico: il commento di Andrea Tornielli


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di Andrea Tornielli

nostro inviato a Luanda (Angola)

Dal finestrino dell’aereo che sta per planare sull’asfalto liquefatto dal calore, Benedetto XVI guarda le baracche che si estendono a perdita d’occhio e arrivano a lambire la pista dell’aeroporto di Luanda, seconda e ultima tappa del viaggio papale in Africa.
L’Angola, uscita nel 2002 da una sanguinosa guerra civile durata ventisette anni che ha lasciato sul terreno milioni di mine anti-uomo, è il simbolo delle contraddizioni ma anche delle speranze del Continente nero: il Paese è il quarto produttore mondiale di diamanti e il primo produttore africano di petrolio, il suo Pil è aumentato del 27 per cento, ma ben più della metà della popolazione vive sotto la soglia della povertà.
Il portellone del Boeing Alitalia si apre. Un caldo torrido e soffocante investe Ratzinger che, nonostante la stanchezza per l’ultima impegnativa giornata trascorsa in Camerun, regge bene la fatica e rimane per tutto il tempo in piedi ad ascoltare il discorso di José Eduardo Dos Santos, il presidente al potere da trent’anni, protagonista delle varie stagioni che hanno visto l’Angola passare dal collettivismo marxista all’economia di mercato.
Nel primo saluto, dove non manca l’accenno alle vittime delle inondazioni che nei giorni scorsi hanno colpito una regione angolana, Benedetto XVI parla della recente guerra civile, e ricorda di aver personalmente conosciuto in Germania «la guerra e la divisione tra fratelli appartenenti alla stessa nazione a causa di ideologie devastanti e disumane, le quali, sotto la falsa apparenza di sogni e illusioni, facevano pesare sopra gli uomini il giogo dell’oppressione».
«Potete dunque capire – aggiunge – quanto io sia sensibile al dialogo fra gli uomini come mezzo per superare ogni forma di conflitto».
Ratzinger ricorda che l’Angola «è ricca» e invita i suoi abitanti a non arrendersi «alla legge del più forte». «Purtroppo – dice – dentro i vostri confini ci sono ancora tanti poveri che rivendicano il rispetto dei loro diritti. Non si può dimenticare la moltitudine di angolani che vivono al di sotto della soglia di povertà assoluta».

La cerimonia dei saluti finisce, e finalmente Benedetto XVI incontra l’abbraccio di una folla travolgente che si stringe attorno alla papamobile, accompagnandolo con canti, balli, applausi e sventolio di bandiere lungo tutto il percorso fino alla nunziatura apostolica.

Nel pomeriggio, dopo la visita di cortesia a Dos Santos, il Papa incontra nello stesso palazzo presidenziale le autorità politiche e il corpo diplomatico.
Qui pronuncia il discorso più forte, invitando chi lo ascolta a «trasformare questo Continente, liberando il vostro popolo dal flagello dell’avidità, della violenza e del disordine», guidandolo sulla via dei principi della democrazia civile, «il rispetto e la promozione dei diritti umani, un governo trasparente, una magistratura indipendente, una comunicazione sociale libera, un’onesta amministrazione pubblica», ospedali e scuole adeguati. Chiede «di stroncare una volta per tutte la corruzione», ma rivolge un appello anche ai Paesi sviluppati, perché mantengano la promessa di destinare lo 0,7 per cento del loro Pil agli aiuti per l’Africa.
Benedetto XVI parla poi delle «numerose pressioni che si abbattono sulle famiglie», povertà, disoccupazione, malattia, esilio. Della «discriminazione sulle donne e sulle ragazze» e «della innominabile pratica della violenza e dello sfruttamento sessuale che causa loro tante umiliazioni e traumi». Ma c’è un’altra «grave preoccupazione» che angoscia il Papa, e sono le politiche abortiste.
«Quanto amara è l’ironia di coloro che promuovono l’aborto tra le cure della salute “materna”! Quanto sconcertante la tesi di coloro secondo i quali la soppressione della vita sarebbe una questione di salute riproduttiva». Sono i termini usati dal «Protocollo di Maputo», il trattato sui diritti delle donne adottato dall’Unione Africana, così come dalle agenzie dell’Onu.
Il Papa conclude la sua prima giornata angolana incontrando i vescovi in nunziatura, nel cui giardino è stata liberata poche ore prima la tartaruga di terra donata al Pontefice a Yaoundé da un gruppo di pigmei. Anche il rettile ha viaggiato sull’aereo papale.

© Copyright Il Giornale, 21 marzo 2009 consultabile online anche qui.

2 commenti:

mariateresa ha detto...

Buongiorno, speriamo.
Sul sito di le Figaro cìè un'intervista a M. 23, l'arcivescovo di Parigi. Ora ,l'uomo è amabile anche se non è un uragano di energia. Proprio per questo mi ha colpito una sua frase che ha pronunciato guardando il conduttore vanesio negli occhi , e cioè che al papa vogliono farla pagare. Come a sarebbe a dire? incalza l'intervistatore.
Sarebbe a dire che nessuno sia aspettava il successo del papa in Francia, un successo spontaneo e popolare e allora "alcuni" hanno cominciato a riflettere.
Questa concomitanza delle disgrazie mediatiche al massimo livello dopo il successo dei tre viaggi internazionali dell'anno scorso, modestamente l'avevo notata. Quello in Francia è stato infatti un successo inaspettato )anche da M. 23 secondo me)sotto tutti i punti di vista, compreso il bellissimo discorso ai Bernardins. Quando si tratta di cultura i francesi non scherzano.
Il video è qui. Ripeto, è veramente inedito che un uomo placido come M. 23 si sbilanci in questo modo.

http://www.lefigaro.fr/le-talk/2009/03/20/01021-20090320ARTFIG00409-la-polemique-actuelle-est-une-occasion-de-se-payer-le-pape-.php

Quando stesera tornerò a casa spero di leggere cose belle.

mariateresa ha detto...

guardate che gran lavoro fa Patrice de Plunckett che ha deciso che non si può stare con le mani in mano

http://plunkett.hautetfort.com/
Roba da matti.