giovedì 4 dicembre 2008

Messale Romano ma poco latino. Il problema della traduzione corretta (Isotta)


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Il problema della traduzione corretta

MESSALE ROMANO MA POCO LATINO

Un culmine è la traduzione di «pro multis» diventato «per tutti» nella nostra lingua

di PAOLO ISOTTA

Il mio mestiere è la Storia della musica e la critica musicale. I miei principali interessi sono la Liturgia e la Storia romana.
Al lettore non dolga se, sul primo degli otia, espongo alcune informazioni in fatto tuttora della più viva attualità.
I testi liturgici tradotti dopo il Concilio documentano la trasformazione di alcuni concetti cardinali della dottrina cattolica.

La sparizione o la diminuzione dalle formule di preghiera di termini classici per indicare il soprannaturale e il senso della rivelazione cristiana, primo fra tutti quello di grazia, ha favorito insieme la secolarizzazione del rito e quella della mentalità cattolica.

Onde pochissimi oggi credono che i testi liturgici servono al sacerdote per parlare con Dio: evocano essi un copione del quale il prete è il regista o il prim'attore, parola d'uso dei liturgisti «moderni».

Da quarant'anni a questa volta a fronte del Messale Romano
Tridentino in vigore quattrocento anni vi sono state numerose edizioni del Messale Romano post-conciliare: la prima solo in latino è del 1970 e contiene testi antichi trasformati e testi nuovi. Quindi i Messali pubblicati in varie lingue dalle Conferenze episcopali di tutto il mondo. In Italia due erano stati editi nel 1965, festivo e feriale, bilingue, latino e italiano.
Il Consilium ad exequendam Constitutionem de Sacra Liturgia trasmetteva l'ordine: «È desiderio del Santo Padre che i Messali, sia cotidiani che festivi, in edizione integrale o parziale, portino sempre a lato della versione in lingua vernacola il testo latino, su doppia colonna o a pagine rispondenti, e non in fascicoli o libri separati, a tenore dell'Istruzione Inter Oecumenici del 26 settembre 1964 e del Decreto della S. Congregazione dei Riti De editionibus Librorum liturgicorum
del 27 gennaio 1966.
Nel 1969 Paolo VI tornava ad ordinarlo anche alla Commissione Liturgica nazionale italiana, a proposito della intraprendenda traduzione, nel momento ove doveva addentrarsi essa «nell'augusto, austero, sacro, venerando, tremendo recinto delle Preci Eucaristiche», che costituiscono il cuore della Messa, il momento della consacrazione del Pane e del Vino. Innanzi alla metastasi inarrestabile delle traduzioni-interpretazioni dovette intervenire nel 1974 la Congregazione per la Dottrina della Fede stabilendo che «il significato da intendersi per esse è, nella mente della Chiesa, quello espresso dall'originale senso latino».

Risultato: l'originale latino disparve, impedendo così a sacerdoti e studiosi d'intendere l'autentico significato del testo tradotto. L'elenco dei fraintendimenti commessi per malizia e, o, ignoranza comprenderebbe molti tomi.

E molti volumi vi sono dedicati. Cito un caso sconfinante nel grottesco. La celebre orazione del Corpus Domini, d'uso anche nelle benedizioni eucaristiche: l'originale «sub sacramento mirabilis passionis tuae» è divenuto «memoriale della tua pasqua»; «venerari » «partecipare con fede»; «sentiamur» «sperimentare sempre in noi»(!). Vale comunque il fatto che la lingua dei due Testamenti e (Gobineau,
La Renaissance) delle Decretali del Medio Evo solo con infinita indulgenza potrebbe esser definita «latino». (Ricorda anche dalle Stanze di Raffaello la Consegna delle Decretali a Papa Gregorio IX).
Un culmine è la traduzione della perifrasi «pro multis» delle Parole della consacrazione del vino, divenuta «per tutti » nel Messale italiano.
Si tratta del momento della Messa ove in modo particolare emerge il legame tra Sacra Liturgia e Sacra Scrittura. Recepita la giusta in francese, negli Stati Uniti e nell'America Latina, si trova nelle liturgie orientali, testimoni della tradizione apostolica,
da sempre yper pollòn (Chiese greca e armena).
L'allora cardinale Ratzinger aveva posto in tema tre irrefragabili asserzioni: 1) Gesù è morto per salvare tutti e negarlo non è atteggiamento cattolico. 2)Dio graziosamente lascia l'uomo libero di rifiutare la salvezza e alcuni lo fanno. 3)L'affermazione secondo la quale in ebraico l'espressione «i molti » sarebbe equivalente a «tutti » non rileva, per il fatto che il testo qui da tradurre non è ebraico ma quello della Liturgia romana che a diretto riferimento ha un testo greco, il Nuovo Testamento. Alla voce dell'attuale Sommo Pontefice aggiungiamo flebilmente che in latino mai si direbbe «pro totis» ma, preceduto dal «pro vobis», «et ceteris; a titolo facoltativo aggiungi: omnibus».

© Copyright Corriere della sera, 3 dicembre 2008

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Splendido articolo.
Speriamo sia per la Chiesa un importante motivo di riflessione.
Complimenti ad Isotta.

Anonimo ha detto...

Caro Isotta non fare il furbo perchè se veramente sai e conosci quel che dici di sapere non devi ignorare o far finta di non sapere che i Sacramentari e i Comes prima di confluire nel Messale del 1570 hanno avuto numerosissime trasformazioni e anche il famigerato Messale di Pio V ne ha subite subito dopo la sua edizione ad opera dei papi successivi fino a quello che viene liberalizzato vale a dire il testo emendato da Giovanni XXIII. Sai pure che i testi non sono venuti fuori come funghetti ma sono processi culturali molto lunghi e complessi che non di rado nasondo problemi teologici validi per le zone in cui alcune orazioni sono state pensate e redatte.

Anonimo ha detto...

In realtà la traduzione dell'orazione conclusiva delle Litanie del SS. Sacramento è sostanzialmente accettabile, solo che Isotta non individua correttamente i segmenti dell'originale latino che corrispondono alle "grottesche" espressioni della traduzione volgare. Evidenzio le corrispondenze effettive fra testo e traduzione mediante l'uso delle maiuscole:
Deus, qui nobis sub sacramento mirabili PASSIONIS TUAE MEMORIAM («memoriale della tua pasqua») reliquisti; tribue quaesumus, ita nos corporis et sanguinis tui SACRA MYSTERIA VENERARI («partecipare con fede» ai sacri misteri), ut redemptionis tuae fructum IN NOBIS IUGITER SENTIAMUS («sperimentare sempre in noi»).
Tra l'altro chissà dove ha trovato Isotta quel suo "sentiamur", quasi che "sentio" fosse un verbo deponente! Sarà un effetto di 'attrazione' esercitato dal deponente "veneror" che viene subito prima. Misteri del cuore (e dell'orecchio) umano.

Agostino, Firenze