mercoledì 3 dicembre 2008

La consacrazione nella liturgia eucaristica: Non formule magiche ma parole efficaci di una Persona viva (Inos Biffi per l'Osservatore Romano)


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La consacrazione nella liturgia eucaristica

Non formule magiche ma parole efficaci di una Persona viva

di Inos Biffi

Il concilio di Trento, nel suo insegnamento dogmatico, conserva intatto il suo valore. Si direbbe anzi che oggi risalta ancor più chiaramente la felicità del suo stile essenziale e del suo linguaggio rigoroso nel delimitare i confini della fede cattolica. Ora, secondo quel concilio, "nel divin sacramento della santa Eucaristia, dopo la consacrazione del pane e del vino, il nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, è contenuto veramente, realmente e sostanzialmente" (Sessione xiii, cap. 1).
Viene così affermata l'efficacia delle parole della consacrazione: le stesse pronunziate da Cristo nell'Ultima Cena all'istituzione di questo "mirabile sacramento", "quando - dichiara ancora il Tridentino - dopo la benedizione del pane e del vino, ha affermato con parole esplicite e chiare di dare il proprio corpo e il proprio sangue".
Riconoscere, però, una simile virtù alle parole della consacrazione non comporta l'attribuzione alle "parole" come tali di una specie di potere magico, e neppure misconoscere il profondo significato e valore dell'intera anafora della messa.
La formula consacratoria è operativa perché colui che la presiede la pronunzia come "vicario" in persona Christi, ossia rappresentando sacramentalmente il Signore, che in ogni celebrazione è l'autore principale: nell'Eucaristia sono presenti in forma sacramentale il Corpo e il Sangue di Gesù, perché anzitutto è Gesù medesimo a presiederla realmente nella figura del sacerdote.
Tali parole, quindi, non contengono e non manifestano una loro separata e magica potenza verbale, indipendentemente da Cristo; al contrario, la consacrazione è sempre originariamente e "attualmente" un atto di Cristo, un intervento della sua signoria, che agisce mediante lo Spirito Santo, che è la stessa che nell'Ultima Cena, "creativamente", ha convertito il pane spezzato nel suo Corpo e il vino della coppa nel suo Sangue.
Il Decretum pro Armenis, del 1439, dichiarava che "la forma di questo sacramento sono le parole del Salvatore, con le quali egli istituì questo sacramento: infatti il sacerdote compie questo sacramento parlando a nome di Cristo".

Se non si comprende questa presenza sacramentale di Gesù in ogni consacrazione eucaristica, si continuerà sia a non capire il principio e la ragione della conversione "mirabile e singolare", sia a misconoscere il senso e la portata delle parole della consacrazione, sia a parlare vanamente di loro proprietà appunto magiche; di conseguenza, col pretesto di mettere in risalto l'intera anafora, si continuerà a misconoscere il ruolo unico che tanto la dottrina quanto la prassi della Chiesa hanno riconosciuto a questa parte della stessa anafora e alle parole del Signore che vi sono incluse.

Senza dubbio, l'anafora non va frammentata e va tutta valorizzata come un'interpretazione dei vari aspetti del mistero eucaristico e quasi come indice del suo progressivo avvenire e quindi della sua irradiazione.
Anzi, lo stesso momento consacratorio, a cui viene riconosciuta la "genesi" dell'Eucaristia, va intimamente collegato col rendimento di grazie prefaziale, con la memoria dei mirabilia Dei in esso rievocati, con l'invocazione dell'azione transustanziante dello Spirito di Cristo, con l'anamnesi e l'offerta, con le intercessioni e la dossologia finale. Ma la sensibilità all'intimo nesso che lega i diversi tratti della "prece eucaristica" non pregiudica affatto l'importanza singolare della consacrazione.
Oggi non mancano liturgisti, eruditi sì in anafore, ma di spessore teologico piuttosto modesto, i quali contestano sant'Ambrogio e i suoi seguaci per aver parlato delle "parole efficaci (sermo operatorius)" di Gesù Cristo come causa della conversione eucaristica.
Veramente dovrebbero incominciare a contestare san Giustino, nel quale troviamo l'espressione: "nutrimento consacrato con la preghiera di ringraziamento formata dalle "parole di Cristo"".
In ogni caso, il riconoscimento di questa efficacia è insegnamento tradizionale nella Chiesa, reso evidente anche nei gesti di adorazione che conseguono la consacrazione, e in altri richiami luminosi o sonori che la preparano o l'accompagnano, nella persuasione che proprio alla consacrazione, di cui l'epiclesi stessa è un aspetto, è dovuta la transustanziazione e quindi la presenza del Corpo e del Sangue del Signore.
Certo, con la riforma liturgica l'anafora, ad alta voce o in canto, può essere più chiaramente compresa, e più attivamente partecipata, da tutta la comunità celebrante; ma non è per ciò stesso perentoriamente decaduta la convenienza, o l'opportunità, che permangano dei segni a ricordare, quasi a risvegliare l'attenzione, sull'importanza unica del "centro vitale dell'Eucaristia", come lo chiama Josef Andreas Jungmann, ossia del momento consacratorio e di quanto ad esso si connette.

(©L'Osservatore Romano - 3 dicembre 2008)

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Sono parole sante quelle di questo articolo e sono una tirata d'orecchi a certi liturgisti moderni.

Anonimo ha detto...

Sono belle parole e basta. Nei fatti l'evolversi della triste riforma post conciliare continua a mettere in ombra la formula consacratoria. Non solo ha obbligato a pronunciarla ad alta voce (eludendo il Canone 9° della XXII sessione del Concilio di Trento, che diceva: «Se qualcuno dirà che il rito della chiesa Romana, secondo il quale parte del canone e le parole della consacrazione si profferiscono a bassa voce, è da riprovarsi; o che la messa debba essere celebrata solo nella lingua del popolo; o che nell’offrire il calice non debba esser mischiata l’acqua col vino, perché ciò sarebbe contro l’istituzione di Cristo, sia anatema.») Ma addirittura ha creato anche una melodia per favorirne il canto, facendo dimenticare del tutto il sacro silenzio che l'accompagnava.
Inoltre, nei fatti, i sacerdoti fanno quello che vogliono: riducono a una le genuflessioni prescritte dopo le parole della consacrazione, o non ne fanno alcuna, ma solo un inchino. Oppure non elevano né ostia né calice alla consacrazione, ma lo fanno alla dossologia finale.
Un paio di anni fa si è annunciata solennemente la correzione della traduzione "per tutti" del "pro multis", ma non se ne è fatto proprio nulla.

Caro Areki, io delle belle parole ne ho piene le tasche, voglio fatti. Nella Chiesa tutti cianciano ma nessuno si prende le sue responsabilità!

euge ha detto...

Caro ( scusi se mi prendo questa libertà ) ha tutta la mia approvazione. Molti ignorano tutto questo che lei ha fatto notare; con molta tristezza ho dovuto rinonciare alla messa nella mia parrocchia, perchè se ne vedono di tutti i colori....... compresi i ragazzini che allegramente corrono durante la Consacrazione ed ovviamente il Parroco ed il Vice- parroco, tacciono.

euge ha detto...

dopo il caro volevo aggiungere don G. Luigi mi scusi.

Anonimo ha detto...

Gian Luigi caro, ma possibile che tutto quel che dobbiamo considerare nella Chiesa lo dobbiamo fare partendo da Trento?? Sembra quasi che la Chiesa sia nata a Trento ma per fortuna non è così. Mi spieghi a cosa serve l'elevazione? Ti dice nulla ratramno di Corbie, Pascasio Radberto e altri??? Le dispute teologiche sull'Eucarestia contro il povero Berengario? Lo sai che i cristiani in origine erano gli "stantes" e guai ad inginocchiarsi!!! una traccia rimane ancora oggi per noi nel tempo pasquale...... non mi dilungo, un solo suggerimento, riguardati i Padri, che forse ti sfuggono e vedrai che di genuflessioni, inchini, elevazioni e trappole varie non v'è traccia. Concordo tuttavia sulle stravaganze moderne che son da eliminare, ma va fatto con saggezza partendo dai vangeli e su su e non da trento e dintorni.

Anonimo ha detto...

Caro Don Marco, tu fai dell'archeologismo liturgico, salti dall'antichità al Vat.II, ma lo Spirito Santo ha lavorato incessantemente nella Chiesa, affinando la dottrina e la devozione all'Eucaristia.

La Chiesa non comincia a Trento, ma nemmeno col Vaticano II, anzi il canone che ti ho citato è determinante, perché parte di una dichiarazione dogmatica sulla Messa, con tanto di anatematismi.
Il Vat.II non si pronuncia sulla consacrazione e tu vorresti farmi credere che sia più autenticamente fedele alla Tradizione questo straccio di riforma che non ha nemmeno motivato le variazioni più spicciole, rispetto a ciò che ha stabilito un Concilio dal quale è nato un risveglio e uno slancio missionario della Chiesa?
Contento tu!

euge ha detto...

Bene, bene vedo con molto rammarico, che nella chiesa soprattutto sulle celebrazioni e sul modo di operare in esse, c'è una bella confusione!
Io personalmente, non sono una studiosa ne posso intromettervi nel vostro scambio di idee. Ma, mettetevi soltanto per un momento, nei panni di un fedele che vi legge e che magari, non sapendo nulla del Concilio di Trento o del Concilio Vaticano II, vi chiede o vuole sapere perchè sia tanto difficile ai giorni nostri, celebrare la Messa senza tanti ghirigori, senza tante stravaganze. Nel 1972 io avevo 7 anni e mi ricordo che andando a Messa con i miei genitori, a nessuno dava noia nel il canto ne tanto meno il suono dell'organo ma, a nessun bambino della mia età era permesso correre liberamente per la chiesa durante la consacrazione. Io ricordo che mi inginocchiavo accanto ai miei, e stavo buona perchè credevo che in quell'ostia consacrata c'era Gesù. Più avanti negli anni, mi insegnarono che prima della Comunione è necessario confessarsi; ora siamo arrivati al punto che la confessione la facciamo a noi stessi e ci arroghiamo anche, la facoltà di assolverci. Perchè sono nate queste confusioni importanti? Perchè non si insegna più ai bambini ad avere rispetto per la Messa e soprattutto per la consacrazione? Perchè si viene a Messa come se si andasse a passare una mezz'ora perchè non si ha nulla di meglio da fare? Secondo il mio modestissimo parere i problemi più grandi sono questi. Soprattutto, consentitemi, vorrei e lo dico da fedele delusa, che i preti tornassero a fare i preti e facessero di meno i manager o gli allenatori di calcio. Grazie.
P.s se volete e potete vorrei che mi daste una risposta.

Anonimo ha detto...

Cara Euge, hai ragione, oggi c'è tanta confusione perché credo che molti abbiano inteso il Concilio Vaticano II come l'inizio di una nuova era che rompeva completamente con il passato. Prima si diceva, ad es. che la vera Chiesa di Cristo è quella Cattolica e che, quindi, l'unità dei Cristiani si sarebbe realizzata con il ritorno dei fratelli separati. Dopo si disse che che bisognava dialogare senza pretendere il ritorno.
Prima si celebrava la liturgia seguendo una prassi ininterrotta che risaliva agli Apostoli, con uno sviluppo graduale e rispettoso della ricchezza ricevuta. Si osservavano i riti, senza aggiungere o togliere nulla, consapevoli che il protagonista è sempre il Signore Gesù e non il prete. Dopo, cioè oggi, si è buttata tutta questa ricchezza alle ortiche. Al posto dell'altare e del tabernacolo il luogo più elevato è stato occupato dal prete, che organizza la sua liturgia. Le rubriche sono disprezzate come formalismi inutili, quindi se uno vuole fa la genuflessione, sennò fa l'inchino, oppure fa due o tre o quattro miniprediche nei momenti che ritiene più opportuni.

Come può un fedele capirci più qualcosa? O aumentare la sua fede nella presenza viva e vera di Cristo, quando il prete o il vescovo stesso si siede davanti al tabernacolo dando le spalle al Santissimo. Purtroppo nelle parrocchie che conosco le cose non cambiano, anche se alcuni laici cominciano a capire che di questo passo saremo ridotti come in Francia o in Olanda, dove le chiese stanno chiudendo per mancanza di Cristiani.

Gesù ha detto che dai frutti si riconosce l'albero.