mercoledì 3 dicembre 2008
Onu, Santa Sede e omosessualità: così è nata la manipolazione sulla risposta ingenua e legittima del Vaticano (articolo di Tiliacos da incorniciare!)
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"Riciccia" la decisione della Santa Sede di non firmare la Convenzione Onu sui disabili. La notizia, spacciata per novità, è del febbraio 2007!
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Per fortuna Paolo VI non era di sinistra ed era meglio di quello in tv (Crippa)
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Quando oltre alle braccia cadono anche le calzette...commentino ai commentini dei giornali su Onu, omosessualità e Vaticano
E' con grande piacere che pubblico questo articolo che mi conforta circa l'interpretazione che ho dato alla proposta francese.
R.
Perché la Santa Sede non firma la convenzione Onu sui disabili
Così è nata la manipolazione sulla risposta ingenua e legittima del Vaticano
di Nicoletta Tiliacos
Vaticano allineato alle teocrazie fondamentaliste nel voler mantenere il reato di omosessualità, Vaticano persecutore di gay, Vaticano che non si oppone alla pena di morte e alle torture che ai gay sono riservate in molti stati: sono più che grottesche le interpretazioni di alcune frasi pronunciate da monsignor Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, colpevole di aver criticato, nel corso di un’intervista, la dichiarazione per la “depenalizzazione universale dell’omosessualità” che la Francia, a nome dell’Unione europea, ha intenzione di presentare all’Onu, in occasione del sessantenale della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
“Il Papa: essere gay resti illegale”, titolava ieri il Manifesto. Almeno non virgolettava, come l’Unità: “L’omosessualità non può essere depenalizzata nel mondo”, e non si capisce se la dichiarazione testuale (inventata) sia attribuita a Migliore o direttamente al Pontefice.
Tirato comunque in ballo dal radicale Sergio Rovasio, che accusa il Vaticano di doppiezza e omofobia.
Oggi il Vaticano si oppone alla depenalizzazione dell’omosessualità, sostiene Rovasio, mentre nel 1986, da prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Joseph Ratzinger scriveva nella lettera ai vescovi della chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali: “Va deplorato con fermezza che le persone omosessuali siano state e siano ancora oggetto di espressioni malevole e di azioni violente. Simili comportamenti meritano la condanna dei pastori della chiesa, ovunque si verifichino.
Essi rivelano una mancanza di rispetto per gli altri, lesiva dei principi elementari su cui si basa una sana convivenza civile. La dignità propria di ogni persona dev’essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni”.
Che cosa è successo? E’ successo che la dichiarazione “per la depenalizzazione universale dell’omosessualità” comprende tredici punti, uno dei quali è la condanna delle esecuzioni e delle torture, assieme a molto altro.
C’è, tradotta nel solito gergo delle burocrazie internazionali euro-onusiane, la presa di posizione contro la “discriminazione, l’esclusione, la stigmatizzazione e il pregiudizio” antiomosessuale.
Che ciascuno, teme il Vaticano, potrà tradurre come vorrà.
In Iran, dove i gay vengono impiccati, nessuno farà una piega. Ma in Svezia, in nome di un’analoga risoluzione approvata in Europa, un sacerdote è stato rinviato a giudizio dopo un’omelia critica nei confronti dell’omosessualità.
La dichiarazione che arriverà all’Onu (voluta dal ministro francese dei diritti umani, Rama Yade, e firmata finora da una cinquantina di nazioni, tra cui le ventisette europee) non inciderà dove l’omosessualità è perseguita, mentre i veri destinatari del documento diventeranno i paesi dove atti persecutori potranno essere considerati, di volta in volta, l’ostacolo alle adozioni o il mancato riconoscimento delle nozze per le coppie gay.
Ma se nella dichiarazione ci fosse stata la semplice condanna delle persecuzioni contro i gay e il rifiuto del reato di omosessualità ovunque sia previsto, il Vaticano l’avrebbe osteggiata? Al Foglio, padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana, risponde che “quella condanna e quel rifiuto discendono dalla stessa Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e naturalmente il Vaticano li condivide.
Proprio per questo non era necessario un documento concepito come una somma di temi diversi che si possono prestare ad ambiguità”.
Padre Lombardi constata “un equivoco all’origine di tutta la vicenda, un cortocircuito.
Le obiezioni di monsignor Migliore, espresse su un testo che dice molte cose e si presta a usi discutibili, sono state tendenziosamente attribuite a quella parte, del tutto condivisibile, nella quale si afferma la condanna di violenze e ingiustizie per motivi di discriminazione sessuale. Ma quando si dice che tutti gli orientamenti sessuali devono essere considerati esattamente sullo stesso piano, è un’altra cosa”. Padre Lombardi è però convinto che “quando questo polverone mediatico si depositerà, apparirà palese la pretestuosità di certe interpretazioni. Aspettiamo che la dichiarazione arrivi all’Onu. In quell’occasione ci sarà l’opportunità di spiegare meglio la posizione vaticana”.
Forse padre Lombardi è troppo ottimista, vista la lunga storia di incomprensioni e attriti tra Vaticano e Palazzo di Vetro. L’ultimo capitolo è di ieri. La Santa Sede ha ribadito la decisione di non firmare la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, entrata in vigore l’8 maggio scorso, perché non si esprime contro l’aborto selettivo. E’ “tragico – sostiene il Vaticano – che una imperfezione del feto possa essere una condizione per praticare l’aborto”, come riconosce una Convenzione (comunque definita un “passo importante sulla via delle pari opportunità per i 650 milioni di disabili del mondo”) il cui obiettivo è “proteggere le persone con disabilità da tutte le discriminazioni riguardo all’esercizio dei loro diritti”. E’ l’unico punto di dissenso su un testo al quale la Santa Sede ha contribuito attivamente nel corso di cinque anni di lavori. Ma sufficiente a impedire la ratifica vaticana.
© Copyright Il Foglio, 3 dicembre 2008 consultabile online anche qui.
Ribadisco:
Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe.
Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe;
e sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani.
E quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire:
non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.
(Matteo 10, 16-20)
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5 commenti:
unità manifesto e liberazione sono in crisi nera e hanno bisogno di trovare un nemico per sopravvivere.
vi copio e incollo l'articolo di dago:
CONCITA FLOP – “L’UNITà” FERMA A 43 MILA COPIE NONOSTANTE 2,5 MLN € INVESTITI - PADELLARO VENDEVA DI Più – SCELTE SBAGLIATE E L’ANTI-BERLUSCONISMO CHE NON TIRA PIù – GUAI anche per “LIBERAZIONE” E “MANIFESTO”… -
Claudio Plazzotta per "Italia Oggi"
L'Unità di Concita De Gregorio ha tagliato il formato, i costi per la carta, ma ha pure ridotto le copie vendute. Non è un momento favorevole per i quotidiani, certo. Un po' tutti sono in crisi, e in poco più di un anno si è passati dalle 5,4 milioni di copie diffuse ogni giorno complessivamente nelle edicole italiane alle circa 4,5 milioni dell'autunno 2008. Però le aspettative sul lavoro della De Gregorio, insediatasi alla direzione il 25 agosto, e sul nuovo corso della casa editrice dell'Unità, la Nie di Renato Soru, erano parecchie. Per il momento, sono andate in gran parte disattese.
In base a un monitoraggio effettuato da case editrici concorrenti, l'Unità in novembre ha venduto in edicola una media di 43 mila copie. Tenuto conto che ci sono circa 1.500 abbonati, si resta comunque sotto le 45 mila copie medie. Un risultato negativo, lontano dagli obiettivi che la De Gregorio si era posta dopo il rilancio del giornale, uscito nella nuova versione lo scorso 25 ottobre. Basti pensare che la diffusione media del quotidiano fondato da Antonio Gramsci era stata di 48.233 copie nel periodo settembre 2007-agosto 2008, quello della direzione Antonio Padellaro. E che l'anno prima il giornale navigava sulle 54 mila copie. Una caduta libera, quindi, che neppure la brava ex inviata di Repubblica è riuscita a frenare nonostante i quasi 2,5 milioni di euro investiti per nuova grafica e campagna pubblicitaria.
La scorsa settimana il comitato di redazione dell'Unità, preoccupato dalle voci di crisi in edicola, aveva chiesto chiarimenti all'amministratore delegato della Nie, Giorgio Poidomani. Il manager, tuttavia, aveva preferito glissare sui dati, in attesa, forse, di tempi migliori. Il lettorato dell'Unità, che è poi un lettorato di opinione, non è probabilmente rimasto soddisfatto della riduzione del formato, giudicandola eccessiva e un po' svilente del prodotto. La scelta non sempre azzeccata delle foto e i pezzi comunque troppo lunghi (spesso su due pagine) hanno fatto il resto. Giusto, però, ribadire che tutta la carta stampata, e in particolare quella di centro-sinistra, vive un periodo difficile.
Un tempo sarebbe bastato Silvio Berlusconi al governo per rivitalizzare il lettorato cosiddetto progressista. Ma ora neanche l'antiberlusconismo funziona più come aggregatore. Tanto per dire, Il Riformista di Antonio Polito, al debutto lo scorso 20 ottobre in una versione potenziata a 32 pagine full color, sta faticando ad arrivare a 14-15 mila copie. Lasciando quindi più di un dubbio, tra gli analisti, sull'opportunità di un investimento per decine di milioni di euro effettuato dagli editori Angelucci per trasformare un quotidiano d'élite in un generalista tout court. Repubblica ha le copie in netto calo, anche per il taglio delle operazioni commerciali nelle scuole. E sta studiando come alleggerire i costi della redazione. E pure i quotidiani più a sinistra, come Manifesto o Liberazione, se la passano male.
Il Manifesto, dove lavorano 60 giornalisti e 30 poligrafici, avrebbe bisogno di raggiungere le 30 mila copie di diffusione per poter chiudere i conti in equilibrio. Ma sta veleggiando appena sopra quota 20 mila, dopo una media di 29 mila copie nel 2007. Ancora peggio a Liberazione: il quotidiano di Rifondazione comunista prevede di chiudere il 2008 con una perdita attorno ai 4 milioni di euro su 10 milioni di ricavi. Negli ultimi quattro anni ha avuto un -30% della diffusione (ora è ben sotto le 10 mila copie), inanellando una serie preoccupante di deficit: -700 mila euro nel 2003; -1,6 milioni di euro nel 2004; -1,9 milioni di euro nel 2005; -2 milioni di euro nel 2006; -2,4 milioni di euro nel 2007. Un rosso cupo e costante che neppure il più nostalgico dei comunisti riesce ora a digerire.
http://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/articolo-1769.htm
io non mi strappo i capelli.
"io non mi strappo i capelli."
Dunque le "verità" giornalistiche si misurano dal numero di copie vendute?
Ad ognuno il proprio metro ....
le verità sicuramente no, ma le fesserie, si!
Se il giornalismo non torna ad essere qualcosa di vero interessante e utile presto scomparirà: La gente non è stupida. fesserie un giorno, fesserie due, fesserie tre, poi uno si stufa anche il più perverso dei perversi intellettuali. O no?
Caro Don marco ( giornalista ) ha ragione ma, purtroppo anche il più perverso dei perversi intellettuali, proprio perchè perverso nella sua intellettualità, riesce a credere alle stupidaggini che molti giornali si ostinano a far passare per verità.
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