mercoledì 3 dicembre 2008

Gli equivoci sulla depenalizzazione dell'omosessualità: una buona causa non si serve di argomenti pessimi (D'Agostino)


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GLI EQUIVOCI SULLA DEPENALIZZAZIONE

UNA BUONA CAUSA NON SI SERVE DI ARGOMENTI PESSIMI

FRANCESCO D’AGOSTINO

Come si difende una buona causa? Usando buoni argomenti.
Quando si rileva che i fautori di una buona causa usano pessimi argomenti (o, peggio ancora, equivoci), si ha il dovere di prendere le dovute distanze, per non rimanere invischiati in errori inammissibili e per non contribuire – anche non intenzionalmente – a diffonderli ulteriormente. La proposta per la depenalizzazione dell’omosessualità nel mondo, che la Francia a nome dell’Unione europea sta per presentare all’Onu , è un perfetto esempio di quanto appena detto e bene sta facendo la Santa Sede (nella persona di monsignor Celestino Migliore) a denunciare non la proposta in quanto tale, ma le indebite motivazioni che la sorreggono.

Purtroppo, i principali quotidiani italiani hanno presentato ai loro lettori questa notizia in modo assolutamente deformato e sono in qualche caso perfino arrivati a far intendere che la Chiesa, pur di non rinunciare alla sua cieca omofobia, preferisce non portare fino in fondo il suo contributo alla lotta contro la pena capitale, che è ancora incredibilmente prevista come sanzione per gli omosessuali in non pochi Stati del mondo.

Il fatto che la Chiesa abbia orrore per la pena di morte e in particolare per quella minacciata e inflitta agli omosessuali è talmente ovvio, che il solo ribadirlo è quasi umiliante (e comunque è stato ampiamente ribadito).

Il vero punto della questione, che i commentatori antipatizzanti e prevenuti non hanno saputo cogliere, non è però il no alla pena di morte per gli omosessuali, bensì un altro. È infatti chiaro che la giustissima campagna contro questo particolare uso della pena capitale dovrebbe iscriversi nella più generale campagna contro qualsiasi pratica patibolare. Ad essa invece si è addebitata anche (o principalmente? il dubbio è legittimo) la funzione di far fare un passo avanti alla teoria del 'genere': i veri diritti da riconoscere agli omosessuali non sarebbero quelli che doverosamente vanno riconosciuti a tutti gli esseri umani, ma i particolarissimi diritti del 'genere'.

Ciò che si vuole, in buona sostanza, è portare avanti, fino alla definitiva legittimazione, e ai massimi livelli della comunità internazionale, l’idea secondo la quale l’identità sessuale non è un dato biologico, ma il prodotto di scelte personali, individuali, insindacabili e soprattutto meritevoli di riconoscimento e tutela pubblica (in questo appunto si sostanzia la pretesa del riconoscimento del matrimonio tra omosessuali).

Se così stanno le cose, e mi sembra difficile dubitarne, l’atteggiamento di chi è invitato ad appoggiare la campagna contro la criminalizzazione dell’omosessualità non può che condensarsi in un no, un no esplicito, fermo, sereno e 'argomentato'; un no caratterizzato dalla profonda amarezza di chi deve prendere atto di come una battaglia nobilissima come quella contro la pena di morte venga indebitamente strumentalizzata.
Ribadiamolo quindi ancora una volta, con infinita pazienza e senza lasciarci turbare dall’esasperazione linguistica, dalle stigmatizzazioni e perfino dagli insulti che si rilevano in coloro che sono scesi in campo per stigmatizzare l’arcivescovo Migliore: nulla si toglie alla dignità e ai diritti delle persone omosessuali, negando che la loro sia un’identità di genere, sostenendo (in coerenza con la storia di tutta l’umanità e di tutti i popoli) che il matrimonio è esclusivamente un vincolo tra uomo e donna, finalizzato a garantire socialmente l’ordine delle generazioni. Ricordare le violenze subite nella storia dagli omosessuali è doveroso, ma non è argomento sufficiente per indurci a ritenere che le pratiche omofile (peraltro del tutto lecite, ove si diano tra adulti consenzienti) debbano ottenere un riconoscimento pubblico, istituzionale e giuridico, quale quello coniugale.
È tempo che si chieda a tutti coloro che promuovono iniziative internazionali con forti ricadute di tipo 'antropologico' (come quelle che coinvolgono le nuove frontiere dei diritti umani) l’onestà intellettuale di non assumere atteggiamenti ideologici unilaterali, spesso inutilmente provocatori, e di prestare attenzione e rispetto a visioni del mondo e dell’uomo, come quella cristiana, che non rappresentano gli interessi di lobby, potenti, ma effimere, bensì il condensato del buon senso umano.

© Copyright Avvenire, 3 dicembre 2008

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