martedì 9 dicembre 2008

Seconda domenica di Avvento, il Papa: L’attesa, la veglia, l’annuncio (Zavattaro)


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L’attesa, la veglia, l’annuncio

Fabio Zavattaro

In questa seconda domenica di Avvento, e alla vigilia della festa dell’Immacolata, Papa Benedetto ci offre una riflessione che guarda a questo tempo liturgico come apertura al futuro di Dio, tempo di preparazione al Natale, quando il Signore è venuto ad “abitare in mezzo a questa umanità decaduta per rinnovarla dall’interno”. Messaggio pieno di speranza; che trova in Maria, lei che è la “via che Dio stesso si è preparata per venire al mondo”, un guida sicura: con tutta la sua umiltà “cammina alla testa di Israele nell’esodo da ogni esilio, da ogni oppressione, da ogni schiavitù morale e materiale, verso i nuovi cieli e la terra nuova, nei quali abita la giustizia”.
Maria, ricorda il Papa nella sua enciclica Spe Salvi, è la madre dei credenti. È lei che ci fa cogliere nel buio del Sabato Santo la certezza della speranza, di quel mattino di Pasqua. E questo perché il Regno di Dio è diverso da come gli uomini avevano potuto immaginarlo. Ricordate? Solo quattro domeniche fa il Papa parlava di un Regno che non è fatto di onori e apparenze, ma è giustizia, pace e gioia. E in questa seconda domenica di Avvento ci dice: è un Regno che ha avuto inizio nell’ora di Nazareth e che non avrebbe mai avuto fine. Messaggio di speranza, dunque, l’Avvento; annuncio di salvezza, profetico perché in Cristo si sono compiute “le antiche promesse”. Con la sua predicazione e poi con la morte e la risurrezione Cristo ha rivelato “una prospettiva più profonda e universale”, ha “inaugurato un esodo non più solo terreno, storico, e come tale provvisorio, ma radicale e definitivo: il passaggio dal regno del male al Regno di Dio, dal dominio del peccato e della morte a quello dell’amore e della vita”.
Per il Papa, la “speranza cristiana va oltre la legittima attesa di una liberazione sociale e politica, perché ciò che Gesù ha iniziato è un’umanità nuova”; la giustizia e la pace “sono dono di Dio, ma richiedono uomini e donne che siano terra buona, pronta ad accogliere il buon seme della sua Parola”. E in questa prospettiva possiamo leggere anche il ruolo della Chiesa che si pone come “sentinella” sul monte alto della fede; sentinella “per le popolazioni sfinite dalla miseria e dalla fame, per le schiere dei profughi, per quanti patiscono gravi e sistematiche violazioni dei loro diritti”.
Perché, come ricordava Benedetto XVI nella Spe Salvi, un mondo senza Dio “è un mondo senza speranza”. E “Dio è giustizia e crea giustizia. È questa la nostra consolazione e la nostra speranza. Ma nella sua giustizia è insieme anche grazia”. Riflessione che ci aiuta a comprendere anche come il Papa e la Chiesa guardano alle celebrazioni per i 60 anni della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che ha un “valore perenne” e la cui importanza va messa in luce oggi di fronte alla necessità di dare vita a una nuova coscienza dei diritti umani. Parlando alle Nazioni Unite, nel suo viaggio di aprile, Benedetto XVI ha sottolineato la correlazione tra diritti e doveri, dicendo: “i diritti umani sono sempre più presentati come linguaggio comune e sostrato etico delle relazioni internazionali. Allo stesso tempo, l’universalità, l’indivisibilità e l’interdipendenza dei diritti umani servono tutte quali garanzie per la salvaguardia della dignità umana”. I diritti riconosciuti e delineati nella Dichiarazione “sono basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà. Rimuovere i diritti umani da questo contesto significherebbe restringere il loro ambito e cedere ad una concezione relativistica, secondo la quale il significato e l’interpretazione dei diritti potrebbero variare e la loro universalità verrebbe negata in nome di contesti culturali, politici, sociali e persino religiosi differenti”. Così ai leader del mondo, riuniti nel Palazzo di vetro delle Nazioni Unite, il Papa ha ribadito che oggi occorre “raddoppiare gli sforzi di fronte alle pressioni per reinterpretare i fondamenti della Dichiarazione e di comprometterne l’intima unità, così da facilitare un allontanamento dalla protezione della dignità umana per soddisfare semplici interessi, spesso interessi particolari”. E ha precisato Benedetto XVI che la Dichiarazione fu adottata – si legge nel preambolo – come “comune concezione da perseguire e non può essere applicata per parti staccate, secondo tendenze o scelte selettive che corrono semplicemente il rischio di contraddire l’unità della persona umana e, perciò, l’indivisibilità dei diritti umani”.
Ecco, quindi, il ruolo della Chiesa per il Papa: sentinella dei diritti e delle violazioni, perché il diritto non può dipendere dalle correnti di pensiero dominanti in una società.

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