martedì 2 dicembre 2008

Presentata a Mosca la traduzione in lingua russa del «Gesù di Nazaret» di Benedetto XVI (Osservatore Romano)


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Presentata a Mosca la traduzione in lingua russa del «Gesù di Nazaret» di Benedetto XVI

Una testimonianza di laicità

È la laica Azbuka la casa editrice che propone la traduzione in lingua russa del libro di Joseph Ratzinger Gesù di Nazaret. Il volume viene presentato il 2 dicembre a Mosca presso il Centro Culturale Biblioteca dello Spirito. Pubblichiamo i testi degli interventi dell'arcivescovo della Madre di Dio a Mosca (qui sotto) e del nunzio apostolico, l'arcivescovo rappresentante della Santa Sede presso la Federazione Russa (in basso a destra).

di Paolo Pezzi

Gesù di Nazaret. Forse non c'è "argomento" su cui siano stati scritti più libri. Tuttavia io ritengo questo di Papa Ratzinger abbia per più ragioni un valore eccezionale. Vorrei fermarmi almeno su due. La prima ragione dell'"eccezionalità" di questo libro, la vedo proprio nel fatto che forse più suscita la curiosità dei presenti: e cioè che il suo autore non è solo uno dei più grandi teologi oggi viventi, ma è anche, come noto, il Papa di Roma. Questo fatto dà luogo ad un paradosso affascinante: questo libro lo scrive un Papa, ma non lo scrive in veste di Papa. Lo scrive il Papa, ma non lo scrive per così dire "dall'alto" della Sua cattedra, bensì in "veste" di semplice credente, di studioso appassionato, che per tutta la vita si è sforzato di approfondire la sua personale conoscenza di Gesù e le ragioni della sua fede in Lui.
Nella prefazione al libro, egli stesso chiarisce ciò che questo significa: egli ci chiede di non prendere il suo libro come un "atto magisteriale", bensì "unicamente come espressione della mia ricerca personale del volto del Signore" (cfr. Salmi, 27, 8).
Credo che queste parole siano fondamentali per comprendere lo spirito di quest'opera. Essa, potremmo dire con un altro paradosso, è una testimonianza singolare, in un certo senso "senza precedenti", di "laicità": se con laicità intendiamo - attenendoci all'etimologia della parola - il fatto che chi parla, decide di mettersi al livello dell'interlocutore, del popolo (laòs, popolo) a cui si rivolge; non pretende affatto l'assenso, l'adesione del lettore, in forza di una propria pretesa autorità, derivata "dall'alto", ma si sottopone al "tribunale" della ragione e del cuore degli uomini, anche se esige in cambio che questi siano sinceramente, lealmente aperti e liberi da pregiudizi.
Così la proposta del Papa porta in sé direi un doppio aspetto: un aspetto di umiltà e un aspetto di audacia: umiltà, perché il suo autore, senza curarsi troppo del proprio ruolo "istituzionale", accetta di esporsi al vaglio della ragione e delle critiche dell'interlocutore. Audacia, perché l'autore è convinto della fondatezza di ciò che scrive, e perciò vuole, desidera correre il rischio di tale esposizione, lancia una sfida: "Ognuno è libero di contraddirmi - scrive - chiedo solo quell'anticipo di simpatia senza il quale non è possibile alcuna comprensione".
Si potrebbe mostrare - anche se non è questa la sede per farlo - che questo doppio aspetto corrisponde, nel pensiero di questo Papa, alla natura stessa della testimonianza cristiana nel mondo: essa è sempre umile e audace, così come umile e audace è la testimonianza offerta dal Suo stesso Signore Gesù.
Il Dio della Bibbia è un Dio che si fa vicino all'uomo, tanto vicino da assumere un volto umano, una voce umana; tanto vicino da diventare un uomo che parla con parole umane. Ma proprio perché vuole persuaderci con "parole umane" questo è un Dio che può essere contestato. In questo senso, Gesù è per Ratzinger il primo maestro "che ci lascia liberi di contraddirlo", e che chiede solo "quell'anticipo di simpatia senza la quale è impossibile la comprensione". Gesù stesso è il primo che si è esposto al rischio del contraddittorio, proprio perché non si è imposto con il peso della sua divina maestà, ma ha esposto davanti agli uomini la sua testimonianza, in parole ed opere, rimettendosi in modo a tal punto serio alla sentenza "dei cuori" da accettarne anche la sentenza di morte.
Così, mi pare che il Papa con il suo libro ci offra innanzitutto un coraggioso esempio di ciò che significa essere "testimoni" del vangelo, in un mondo ormai divenuto per larga parte indifferente quando non ostile all'annuncio cristiano. L'annuncio di Cristo, perché possa davvero muovere e sfidare i cuori di vicini e lontani, deve sempre più tornare ad essere un "rischio" personale, un "esporsi" in prima persona al "giudizio" e alla "critica" del mondo.
In questo rischio il cristiano non è solo, è unito a tutto il corpo della Chiesa. E tuttavia egli deve giocare la sua faccia, se vuole davvero essere "testimone efficace", cioè martyr. Il testimone è il martire, colui che ha l'audacia di rischiare in prima persona, di assumersi davanti al mondo la responsabilità della sua fede. È colui che non ha paura del "processo" del mondo ma anzi desidera il confronto.
Questo primo tratto, che riguarda il genere letterario di questo libro, che ha quindi il carattere di una "testimonianza", al contempo "scientifica" e "personale", "razionale" e "affettiva", mi introduce alla seconda ragione di "eccezionalità" che invece inerisce piuttosto ai contenuti.
I "non addetti ai lavori" potrebbero infatti chiedersi perché io abbia calcato sull'audacia di quest'opera. Dove sta l'aspetto di "sfida" e di "rischio" personale corso dall'autore?
In realtà, chi minimamente è a conoscenza del dibattito scientifico che ha caratterizzato nel secolo appena trascorso gli studi biblici, sa che la tesi centrale di Papa Benedetto è in effetti una tesi "audace", anche se non mancano voci di grandi biblisti contemporanei - spesso citati nel libro - con cui il Papa dimostra di sentirsi in particolare sintonia (si pensi ad esempio all'evangelico Martin Hengel).
Questa tesi egli la enuncia subito nella prefazione, con la semplicità che gli è propria e con un candore in apparenza ingenuo: "Io ho fiducia nei vangeli (...). Ho voluto fare il tentativo di presentare il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale, come il "Gesù storico"".
Questa affermazione di per sé corrisponde a ciò che la Chiesa ha sempre creduto. Non vi è in essa nulla di straordinario. Tuttavia, dopo che un'ampia parte degli studi biblici anche cattolici dell'ultimo sessantennio, con maggiore o minore radicalità, ha contribuito a mettere in dubbio questa convinzione di fondo, essa non suona più così consueta.
Non è certo questa la sede per affrontare in profondità questo complesso argomento, per il quale rimando alla prefazione del libro. Mi voglio però soffermare sul giudizio sintetico che subito all'inizio del libro il Papa esprime, traendo un bilancio dei risultati cui ha condotto la ricerca biblica degli ultimi decenni.
Egli osserva che, nonostante lo sforzo di rigore scientifico che caratterizza il metodo storico-critico e il suo preziosissimo contributo positivo, il risultato finale di tutto questo immane lavoro, è un caleidoscopio di tesi molto contraddittorie tra loro. Tutti i presunti "veri Gesù" storici che si è preteso di "scoprire" al di sotto della veste "mitica" dei vangeli, dal Gesù grande maestro di morale al Gesù "rivoluzionario", al Gesù profeta apocalittico, hanno finito per contraddirsi e negarsi a vicenda dando luogo a una gran confusione.
Una cosa però queste interpretazioni hanno in comune. Una fondamentale sfiducia nella attendibilità dei Vangeli. Così, "risultato comune di tutti questi tentativi - scrive il Papa - è l'impressione che, comunque, sappiamo ben poco di certo su Gesù e che solo in seguito la fede nella sua divinità abbia plasmato la sua immagine. Questa impressione, nel frattempo, è penetrata profondamente nella coscienza comune della cristianità. Una simile situazione è drammatica per la fede perché rende incerto il suo autentico punto di riferimento: l'intima amicizia con Gesù, da cui tutto dipende, minaccia di annaspare nel vuoto".
Credo che in questo brano venga messo a fuoco il vero tema di questo libro e il movente profondo che ha mosso il suo autore a scriverlo. Perché proprio un libro su Gesù?
Perché il Papa è convinto che oggi rischia di essere tolto davanti agli occhi dell'uomo, dell'uomo ateo come del credente, l'unica cosa che da 2000 anni rende il cristianesimo davvero interessante per gli uomini più diversi: questo qualcosa è semplicemente Gesù.
Come ha profeticamente scritto un grande scrittore francese, Charles Péguy, all'inizio del secolo scorso: "Potremmo essere i primi. I primi dopo Gesù senza Gesù".
Credo che il Papa, profondo e fine conoscitore dello spirito del nostro tempo, avverta che l'uomo postmoderno si trovi proprio in questa situazione descritta da Péguy: si trova ad essere "il primo dopo Gesù senza Gesù". Non senza il Gesù maestro di morale, maestro di valori. Perché questo Gesù non dà fastidio a nessuno. Ma senza il Gesù dei vangeli, il Gesù Figlio di Dio, il Gesù che resuscita il suo amico Lazzaro, e che poi muore e risorge per tutti noi.
Ma se Gesù non è quello dei vangeli - ecco il punto - se quell'uomo crocifisso in Palestina duemila anni fa non è il Figlio di Dio, allora vuol dire che il cristianesimo e la Chiesa non hanno più niente di veramente decisivo da dire e da donare al mondo. E l'uomo è di nuovo solo come lo era prima che Lui arrivasse.
Un altro grande profeta del nostro tempo, Fëdor Dostoevskij, aveva espresso tutto ciò in modo mirabile: "La fede si riduce a questo problema angoscioso: un uomo colto, un europeo dei nostri giorni può credere, ma proprio credere, alla divinità del figlio di Dio, Gesù Cristo?".
Ecco: il libro di Papa Ratzinger è il libro di un uomo colto (e molto), "un europeo dei nostri giorni" che conosce e ha vissuto dall'interno, da protagonista, il travaglio difficile dell'incontro - scontro tra scienza e fede, proprio al nostro tempo.
Ma da questo travaglio egli è uscito rafforzato e arricchito nelle ragioni stesse della sua fede e così vuole comunicarcele.
La fede non ha paura della scienza, questo è l'altro grande messaggio del libro.
Così, il Gesù che Ratzinger ci presenta è il Gesù della tradizione, e nel contempo appare nuovo, come un'icona "restaurata", come l'oro che la prova del fuoco purifica e fa brillare più di prima. Un unico esempio: il dialogo a distanza che il Papa instaura con il rabbino di New York Jacob Neusner, nello stupendo capitolo sul "discorso della montagna".
Il rabbino Neusner, uno dei grandi eruditi ebrei del nostro tempo, ha scritto alcuni anni fa un importante libro su Gesù, in cui, dopo essersi sinceramente confrontato con le parole del maestro di Nazaret, enuncia con grande precisione ed onestà il motivo del suo rifiuto di Gesù come messia di Israele: questo motivo è semplicemente il fatto che anche solo con le sue parole, Gesù si pone con evidenza allo stesso livello di Dio e della Legge, cosa che egli come ebreo osservante non può accettare.
Per Ratzinger la testimonianza di Neusner è preziosa, perché permette di mostrare con grande efficacia un fatto assai caro al Papa teologo, e che invece viene spesso contestato da molti esegeti: e cioè che la figura dell'uomo Gesù, anche sulla base delle sue sole parole, diviene incomprensibile se prescinde dalla sua "folle" pretesa di essere "alla pari" con Dio. Così come diviene incomprensibile la sua stessa condanna a morte.
Gesù è incomprensibile se si elimina la sua pretesa di essere il "Figlio" - per usare l'espressione più amata da Papa Ratzinger - colui che gode una intimità con Dio senza pari perché è tutt'uno con Lui. Si può certamente, come il rabbino Neusner, rifiutare questa pretesa come "blasfema" o inaccettabile.
Certo, si può non credere a ciò che i vangeli raccontano. La scienza non potrà mai da se stessa produrre la fede, questo il Papa lo sa bene. E tuttavia, qui sta la grande sfida del libro, non solo la scienza non è in grado di contestare il nucleo centrale dell'immagine di Gesù che emerge dai vangeli, ma proprio questa immagine, dopo due secoli di minuziosi scavi scientifici dei testi, continua a resistere, e in fin dei conti, secondo il Papa, appare come la più "sensata e convincente", "la più plausibile".
Scrive ancora: "Io sono convinto che questa figura è molto più logica e dal punto di vista storico anche più comprensibile delle ricostruzioni con le quali ci siamo dovuti confrontare negli ultimi decenni. Io ritengo che proprio questo Gesù - quello dei vangeli - sia una figura storicamente sensata e convincente. Solo se era successo qualcosa di straordinario, se la figura e le parole di Gesù avevano superato radicalmente tutte le speranze e le aspettative dell'epoca, si spiega la sua crocifissione e la sua efficacia".
Con tutto ciò non vorrei aver dato l'impressione che si tratti di un libro "scientifico" nel senso "tecnico" e perciò "arido" del termine. Al contrario, l'altro grande pregio di questo ritratto di Gesù di Nazaret, è che traspare ad ogni pagina l'amore che riempie chi scrive, l'emozione del suo sguardo, rapito dalla bellezza del Volto che gli sta davanti.
Nonostante la difficoltà di alcune pagine più impegnative, non si perde mai l'impressione che Ratzinger stia descrivendo il Volto di una Persona viva, il Volto di Qualcuno che egli conosce come si conosce un amico. Il cristianesimo infatti è innanzitutto e soprattutto l'incontro con Gesù, è lo stupore di fronte al volto umano di Dio, del Dio vicino e amico, di quel Dio che "mi ha amato e ha dato se stesso per me", come scrive commosso l'apostolo Paolo.

(©L'Osservatore Romano - 3 dicembre 2008)

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