martedì 16 dicembre 2008

Caso Englaro, Prof. Di Pietro: "Strumentale il silenzio dei media". "Pressione mediatica riprenderà qualora non si riuscisse ad ottenere risultati"


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ELUANA ENGLARO: DI PIETRO (CATTOLICA), “STRUMENTALE” IL “SILENZIO” DEI MEDIA

Un “silenzio strumentale”, frutto di “una pressione mediatica non nuova” e pronta a “ripetersi di nuovo, qualora non si riuscisse ad ottenere il risultato voluto”. Così Maria Luisa Di Pietro, docente di bioetica all’Università Cattolica di Roma, definisce l’attuale “silenzio” dei media sulla vicenda di Eluana Englaro, dopo il grande clamore che ha preceduto e seguito il responso della Cassazione, che il 13 novembre scorso ha autorizzato la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione per la donna di Lecco in stato vegetativo persistente da 17 anni.
“Per diversi anni – spiega Di Pietro al Sir – abbiamo assistito ad un martellamento mediatico su questi aspetti, e in particolare sulla necessità di risolvere queste situazioni di grande disabilità con la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione.

La necessità era quella di convincere tutti, anche toccando le corde dell’emozione e la paura della sofferenza, senza un attimo di tregua mediatica”.” Ora che si è ottenuto questo risultato – commenta l’esperta – si chiede il silenzio, perché poi gli atti previsti e immaginati vengano consumati nel silenzio. Fino a che non verrà il giorno in cui uscirà la notizia che è stato messo in atto ciò che volevano”.

Qualora, invece, “le cose non vadano come si vorrebbe”, prosegue Di Pietro, “un altro caso verrà posto all’attenzione mediatica, affinché si possa ottenere lo stesso risultato con un nuovo martellamento mediatico, anche attraverso immagini che non corrispondono alla realtà, come quelle di pazienti che si trovavano in rianimazione, e non in condizioni di stato vegetativo”.

Quanto al “no” di tre regioni ad ospitare Eluana nelle proprie strutture sanitarie e dare così esecuzione alla sentenza, Di Pietro osserva che “è difficile interpretare le reali motivazioni” che stanno dietro a tali decisioni. “Evidentemente – commenta – queste strutture non vogliono passare come luoghi dove si può dare la morte. Il rischio, in altre parole, è che nel dibattito sul fine vita e sulle volontà anticipate di trattamento si passi da una situazione in cui una persona ha detto qualcosa e disponga della propria vita, per estensione lo stesso comportamento venga adottato anche nei confronti di coloro che non hanno detto niente o che volgano un trattamento di tipo diverso”. Di qui la “grande prudenza” delle strutture sanitarie, che temono “il rischio di una perdita di fiducia da parte dei pazienti”. “Le persone che stanno male – conclude Di Pietro – hanno un’unica paura: che la prossima volta di loro non si interesserà più nessuno, e che li tratteranno come non vorrebbero essere trattati”.

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