lunedì 23 marzo 2009

Finalmente i vescovi italiani intervengono a sostegno del Santo Padre: le parole della prolusione del card. Bagnasco


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Avremmo avuto piacere di leggere molto prima un intervento diretto dei vescovi italiani. Non mi riferisco ovviamente al cardinale Bagnasco che, insieme ai cardinali Tettamanzi e Poletto, espresse il suo parere tempo fa. Ha stupito ed addolorato l'assordante silenzio degli altri membri dell'episcopato che hanno aspettato la Lettera del Papa per esprimersi.
R.

Venerati e cari Confratelli,

ci ritroviamo come Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale italiana a distanza di due mesi appena dal precedente incontro, mentre perdura la maggior parte delle grandi questioni già allora aperte. Così questa prolusione, avvio del consueto discernimento comunitario che sappiamo fecondo in ordine al lavoro apostolico, ha quasi la fisionomia di uno sviluppo, o meglio di un aggiornamento, della riflessione allora effettuata.

1. Di certo si è prolungato, oltre ogni buon senso, un pesante lavorio di critica − dall’Italia e soprattutto dall’estero − nei riguardi del nostro amatissimo Papa, a proposito dapprima della remissione della scomunica ai quattro Vescovi consacrati da Monsignor Lefebvre nel 1988, e al caso Williamson che imponderabilmente vi si è come sovrapposto.
Sul merito di queste due vicende, quello che di importante c’era da dire l’abbiamo sollecitamente detto appunto in occasione della precedente prolusione. Nessuno tuttavia poteva aspettarsi che le polemiche sarebbero proseguite, e in maniera tanto pretestuosa, fino a configurare un vero e proprio disagio, cui ha inteso porre un punto fermo lo stesso Pontefice con l’ammirevole Lettera del 10 marzo 2009, indirizzata ai Vescovi della Chiesa Cattolica.
Di proposito non vogliamo tornare sulle accuse maldestre rivolte con troppa noncuranza al Santo Padre.
Merita molto di più invece concentrarci sulla citata Lettera che, come atto autenticamente nuovo, ha subito attirato un vasto consenso. La grande impressione che essa ha suscitato è per buona parte dovuta alla forza interiore che emerge dall’intero testo e da ciascuna delle sue parole, anche le più amare.

La sua disanima, per certi versi conturbante, degli ultimi episodi − ma, per analogia, anche di certe discutibili e ricorrenti prassi ecclesiali − ha fatto emergere come per contrasto il candore di chi non ha nulla da nascondere circa le proprie reali intenzioni, le motivazioni concrete delle proprie scelte, la coerenza di una vita vissuta unicamente all’insegna del servizio più trasparente alla Chiesa di Cristo.

Per questo non stentiamo affatto a riconoscere nell’iniziativa papale l’azione di quello Spirito di Dio che svela i disegni dei cuori e sa trarre il massimo bene anche dalle situazioni più irte e penose. Il che non significa naturalmente attenuare la severità di un giudizio che nella carità va pur dato circa atteggiamenti e parole che hanno portato a una situazione cui non si sarebbe dovuti arrivare, alimentando interpretazioni sistematicamente allarmistiche e comportamenti diffidenti nei riguardi della Gerarchia.

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Con ferma e concreta convinzione facciamo nostro l’appello alla riconciliazione più genuina e disarmata cui la Lettera papale sollecita l’intera Chiesa.
E questo naturalmente esclude che si perpetuino letture volte a far dire al Papa ciò che egli con tutta evidenza non dice. Che è un modo discutibilissimo, persino un po’ insolente, per costruirsi una posizione distinta dal corretto agire ecclesiale.
Molto meglio identificarsi in quella che è la migliore tradizione del nostro cattolicesimo: stare con il Papa, sempre e incondizionatamente. Il che da una parte comporta il nostro sintonizzarci sulle ancor più evidenti priorità del suo ministero: «Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia» e «avere a cuore l’unità dei credenti», priorità che coinvolgono tutti, ciascuno per la propria responsabilità. E, dall’altra, esige di pregare intensamente per lui e con lui, ossia con le sue stesse intenzioni: e questo aiuta a purificare il nostro sguardo sulla Chiesa, mistero di salvezza per il mondo.

2. In queste ore peraltro il Santo Padre sta portando a termine un’importante visita apostolica nel Camerun e in Angola. Nelle sue intenzioni essa aveva «per orizzonte» l’intero continente africano (cfr Benedetto XVI, Saluto all’arrivo a Luanda, 20 marzo 2009). Si è trattato di un viaggio impegnativo e ad un tempo ricco di speranza. Ciò che lì è avvenuto e il magistero che vi si è esplicato hanno avuto localmente una grande eco, come in noi hanno suscitato un profondo coinvolgimento e una viva commozione: per questo non mancheremo di ritornare sul significato di codesto pellegrinaggio, che fin dall’inizio è stato sovrastato nell’attenzione degli occidentali da una polemica – sui preservativi − che francamente non aveva ragione d’essere. Non a caso, sui media africani non si è riscontrato alcun autonomo interesse, se non fosse stato per l’insistenza pregiudiziale delle agenzie internazionali, e per le dichiarazioni di alcuni esponenti politici europei o di organismi sovranazionali, cioè di quella classe che per ruolo e responsabilità non dovrebbe essere superficiale nelle analisi né precipitosa nei giudizi. Si è avuta come la sensazione che si intendesse non lasciarsi disturbare dalle problematiche concrete che un simile viaggio avrebbe suscitato, specie in una fase di acutissima crisi economica che richiede ai rappresentanti delle istituzioni più influenti una mentalità aperta e una visione inclusiva. Non ci sfugge tuttavia che nella circostanza non ci si è limitati ad un libero dissenso, ma si è arrivati ad un ostracismo che esula dagli stessi canoni laici. L’irrisione e la volgarità tuttavia non potranno far mai parte del linguaggio civile, e fatalmente ricadono su chi li pratica. Infatti, la conferma più significativa circa la pertinenza delle parole del Papa sull’argomento è venuta da quanti – professionisti, politici e volontari – operano nel campo della salute e dell’istruzione. C’è da promuovere un’opera di educazione

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ad ampio raggio, che va inquadrata nella mentalità degli africani e si concretizza in particolare nella promozione effettiva della donna; soprattutto bisogna alimentare le esperienze di cura e di assistenza, finanziando la distribuzione di medicinali accessibili a tutti. Com’è noto la Chiesa, compresa quella italiana, è coinvolta con persone e mezzi in questa linea di sviluppo. Ma chiediamo anche ai governi di mantenere i propri impegni, al di là della demagogia e di logiche di controllo neo-colonialista. E mentre invitiamo i diversi interlocutori a non abbandonare mai il linguaggio di quel rispetto che è indice di civiltà, vorremmo anche dire – sommessamente ma con energia − che non accetteremo che il Papa, sui media o altrove, venga irriso o offeso. Per tutti egli rappresenta un’autorità morale che questo viaggio ha semmai fatto ancor più apprezzare. Per i cattolici è Pietro che, con le reti del pescatore e nel nome del Signore Gesù, continua a raggiungere i lidi del mondo. Noi, che con trepidazione e preghiera l’abbiamo accompagnato in questo pellegrinaggio, ci apprestiamo ora a salutare con affetto il suo felice ritorno.

dalla prolusione del card. Bagnasco

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Straordinario e definitivo il passaggio: "Molto meglio identificarsi in quella che è la migliore tradizione del nostro cattolicesimo: stare con il Papa, sempre e incondizionatamente".

Ne sentivamo il bisogno!

Anonimo ha detto...

ho appena sentito il commento fatto dal TG3, definirlo insulso è un complimento, vergognosamente fazioso si avvicina abbastanza, mediocre, forse è il termine esatto. Invece di farci sentire il commento inutile magari qualche passaggio sarebbe stato più utile, ma forse il testo non si poteva manipolare troppo allora su RAI 3 han preferito fare così.
Applausi!!

euge ha detto...

Già bellissimo questo passaggio Ciccio! Basta che poi, non rimangano solo parole!