mercoledì 17 dicembre 2008

Leggi razziali, e ora Fini se la prende con la Chiesa (Bobbio)


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nostro servizio

Alberto Bobbio

Roma Le leggi razziali del fascismo sono state «un'infamia». Ma non basta l'ideologia fascista a spiegarla, perché alla legislazione antiebraica del Ventennio si sono adeguate la società italiana e la Chiesa, che, «mi duole dirlo, non si oppose».
Il presidente della Camera Gianfranco Fini, ieri mattina a Montecitorio, rievocando una delle pagine più buie della storia italiana, è scivolato malamente sui fatti, ha suscitato la disapprovazione di tutti gli storici cattolici e innescato di nuovo la solita polemica sui presunti silenzi di Pio XII che, con le leggi razziali approvate nel 1938, non c'entra niente. Pacelli venne eletto in Conclave il 2 marzo 1939. Eppure è questo ciò che è accaduto ieri.
Fini parla alla mattina, dice che «oggi fare seriamente i conti con l'infamia storica delle leggi razziali significa perlustrare gli angoli bui dell'anima italiana», per capire come mai «in un Paese profondamente cattolico e tradizionalmente ricco di sentimenti di umanità e solidarietà» sia stato possibile approvare quelle leggi. Dà la colpa «all'anima razzista del fascismo», al «carattere autoritario del regime», ma poi ci infila quella frase sulle responsabilità della Chiesa.
Il primo a contestarlo è Maurizio Lupi (Pdl), vice presidente della Camera: «La Chiesa ha sempre con forza contrastato le leggi razziali, cercando di aiutare gli ebrei perseguitati anche a rischio della vita di numerosi sacerdoti e laici. Queste sono i fatti della storia». Poi tocca a Enrico Farinone (Pd), vice presidente della commissione Affari europei della Camera: «Siamo d'accordo sull'infamia, ma sul fatto che la Chiesa non si sia opposta assolutamente no».
La Santa Sede non replica. Non vuole essere trascinata in una polemica che, da storica, rischia di diventare politica. Lo fa la Radio Vaticana, che mette in campo pezzi da novanta. Prima di tutti il gesuita Giovanni Sale, che ha studiato tutte le carte dell'Archivio segreto vaticano. È gentile e prima parla di «svista» e poi, come nell'intervista qui accanto, di «posizione sconcertante». Quindi Francesco Malgeri e Andrea Riccardi, docenti cattolici di Storia contemporanea, che contestano Fini. Riccardi, che è anche fondatore della Comunità di Sant'Egidio, chiede di smetterla di chiamare «sul banco del correo la Chiesa per tutto». Il «Sir», l'agenzia di stampa vicina alla Cei, interpella Agostino Giovagnoli, storico alla Cattolica di Milano, che ricorda non solo la condanna di Pio XI, ma anche quella del cardinale di Milano Schuster, e di altri due professori: Daniele Menozzi della Normale di Pisa e il francese Philippe Chenaux.
Ma Fini non cede e al pomeriggio conferma: «Ridirei ciò che ho detto», facendo riferimento a un documento vaticano del Duemila, quello sul «mea culpa» verso gli ebrei, nel quale nulla si dice tuttavia a proposito delle prese di posizione di Pio XI contro le leggi razziali. Fini stava partecipando alla presentazione di un libro. Aveva accanto Walter Veltroni che, bontà sua, conferma: «Le parole di Fini sono di una verità palmare e le polemiche sono incomprensibili». Applaude la Comunità ebraica e si comincia a tirare in ballo il presunto silenzio di Pio XII. Lo fa esplicitamente Fabio Evangelisti, dell'Italia dei valori, che denuncia «il silenzio assordante di Pio XII agli atti della storia», senza nemmeno prima aprire il sussidiario delle medie e ripassare qualche data. Il sospetto è che Fini e il Pd si siano messi d'accordo su cosa dire. Lo conferma Manuela Ghizzoni, capogruppo del Pd alla commissione Cultura: «Fini, dando seguito a esplicita richiesta del nostro gruppo, ha ricordato le gravi responsabilità del fascismo e i silenzi di parte della gerarchia ecclesiastica. Il suo è stato un intervento di grande valore storico». Il cattolico Castagnetti, compagno di Veltroni nel Pd ed ex leader dei Popolari, invita Fini ad «avere senso della misura». Volontè, dell'Udc, accusa Fini di «alimentare un falso storico, una scelta ideologia e opportunistica». Ma non ci sta neppure il presidente del Senato, Renato Schifani, che in una nota, senza mai citare Fini, cerca di rimettere le cose a posto, dopo le irritazioni di parte cattolica: «Non mi addentro in analisi di tipo politico o storiografico, ma emersero, non solo nella società civile, luminose testimonianze di chi seppe interpretare i più autentici sentimenti di umanità, solidarietà e giustizia nella concretezza di un'azione quotidiana costante, determinata e talora silenziosa».
Forse ha ragione lo storico cattolico Alberto Melloni, che in serata, alla fine della presentazione dei diari di Angelo Roncalli, osserva che il discorso di Fini «non vale niente» e propone un «concordato»: «Gli storici facciano la storia e i politici facciano la politica».

© Copyright Eco di Bergamo, 17 dicembre 2008

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