martedì 16 dicembre 2008

Pio XI: leggi razziali vergogna italiana (Rizzi). Luglio 1938: e l’Italia si scopre antisemita (Zappalà)


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Pio XI: leggi razziali vergogna italiana

Filippo Rizzi

Un Papa dal «temperamento volitivo e combattivo» e pronto a vergare di suo pugno una lettera autografa al capo del Governo Benito Mussolini per chiedergli personalmente di non porre impedimenti al matrimonio tra cattolici per motivi razziali e a chiedere indirettamente modifiche alle leggi sulla razza, promulgate il 17 novembre di settant'anni fa. È quanto emerge da una ricerca condotta dal gesuita Giovanni Sale, redattore de La Civiltà Cattolica e direttore dell'Istituto storico della Compagnia di Gesù, su una documentazione inedita e presentata qui in anteprima, relativa alle note dell'allora addetto alla segreteria di Stato, monsignor Domenico Tardini. Documenti e testi ufficiosi della Santa Sede che fanno affiorare il vero stato d'animo di Papa Achille Ratti verso il problema della razza e della questione ebraica.
«La documentazione recentemente desecretata dell'Archivio Segreto Vaticano ci ha permesso - spiega lo storico - di seguire momento per momento, quasi si potrebbe dire giorno per giorno, il punto di vista vaticano sulle vicende della promulgazione delle leggi sulla purezza della razza il 17 novembre 1938. A preoccupare il Papa e la Santa Sede era soprattutto il controverso articolo 7 della legge, che proibiva i matrimoni tra cattolici per motivi razziali. Un articolo che creava un vero vulnus nel Concordato del 1929. Le fonti vaticane che stiamo studiando ci mostrano quanto questi provvedimenti rattristassero il Papa e come lo tennero in penosa tensione sino alla fine dei suoi giorni».
Emergono così i tentativi di Papa Ratti e in particolare dei suoi fiduciari di quel tempo - monsignor Domenico Tardini e il gesuita Pietro Tacchi Venturi - per trovare uno sbocco diplomatico all'incresciosa situazione creatasi con il governo italiano.«Se Mussolini - si legge in una confidenza di Pio XI a monsignor Tardini - non mostra buona volontà di trovare una via d'uscita, sono disposto a scrivergli una lettera, semplicissima, per dirgli che così facendo, lui spinge gli uomini al peccato e per ricordargli non una parola umana, ma una parola divina: miseros facit populos peccatum» (citazione dal libro dei Proverbi 14, 34: "Il peccato segna il declino dei popoli", ndr). Precisa ancora padre Sale: «Va ricordato che questo modo di procedere non era una prassi "protocollare" della Santa Sede, in quanto il Papa indirizzava lettere autografe soltanto a sovrani o capi di Stato».
Ma non si trattava solo della questione dei matrimoni misti. La preoccupazione di papa Achille Ratti era più ampia e maturata già nei mesi precedenti alla promulgazione della legge a causa della proibizione di pubblicare articoli contro il razzismo, decisa dal ministero della Cultura Popolare: «Ma tutto questo è enorme! - si legge ancora in una nota di Tardini del 23 ottobre 1938. - Sono veramente amareggiato come Papa e come italiano». Una nuova documentazione che, secondo padre Sale, non fa che confermare il vero stato d'animo dell'anziano Papa riguardo ai provvedimenti in generale e la sua preoccupazione di un'alleanza dell'Italia con la Germania di Hitler: «Nello stesso anno il Papa si era "ritirato" a Castelgandolfo prima della visita di Stato di Hitler a Roma dal 3 al 9 maggio - ricorda lo storico gesuita - e L'Osservatore Romano scrisse che l'aria della Città Eterna "gli faceva male"... Ma non solo. >Nel settembre 1938 Pio XI pronunciò in Vaticano il famoso e memorabile discorso in cui affermò che "l'antisemitismo è inammissibile. Spiritualmente siamo tutti semiti».Allora l'Osservatore Romano pubblicò il testo omettendo la parte riguardante gli ebrei e altrettanto fece la Civiltà Cattolica. Ma sono tutti sintomi dei veri sentimenti e delle preoccupazioni di Pio XI».
La ricerca di padre Sale permette così di far emergere la fitta ragnatela diplomatica messa in campo da Papa Ratti in questo frangente: comprese le richieste di colloqui presentate «a viva voce» e poi in forma scritta fatti da padre Tacchi Venturi per far conoscere il vero pensiero del Papa su questo tema al Duce e la laconica risposta del segretario particolare di Mussolini: «Scriva pure quello che avrebbe voluto dire a voce»; la preparazione e la consegna di lettere autografe al re Vittorio Emanuele III, a Mussolini; non ultima la Nota diplomatica di protesta all'ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede del 13 novembre 1938. «Papa Ratti avrebbe voluto la pubblicazione integrale di quella Nota - rivela oggi Sale -. Però la Curia per ragioni prudenziali e per non inasprire ulteriormente il conflitto tra governo fascista e Santa Sede preferì la pubblicazione di un testo meno compromettente».
Grazie alla nuova documentazione vaticana, a differenza di quanto supposto da una certa storiografia, affiora dunque prepotentemente un Papa non rassegnato all'adozione anche in Italia di una legislazione razziale di stampo filo-tedesco. «Tutto questo rapido succedersi di udienze, di conversazioni e di documenti - si legge in un documento di monsignor Tardini - fu voluto e diretto personalmente dal Santo Padre già tanto malato, con energia veramente giovanile». Dalle carte di monsignor Domenico Tardini, il futuro cardinale segretario di Stato di Giovanni XXIII, si evince anche la definitiva uscita di scena del gesuita Tacchi Venturi - fin allora il vero trait d'union fra regime e Vaticano - e la posizione parallela di compromesso della Curia, nel tentativo di una possibile intesa su questa delicata materia con il governo fascista «evitando qualsiasi forma di protesta da parte della Santa Sede»; una scelta sostenuta dal nunzio apostolico in Italia, monsignor Borgongini Duca. «Quello che sorprende però che dalla documentazione vaticana di questo periodo - conclude padre Sale - non si faccia alcun riferimento all'enciclica che Papa Ratti aveva dato incarico di scrivere al gesuita americano John La Farge, nella quale si dovevano condannare apertamente il razzismo e tutte le teorie che inficiavano l'originaria uguaglianza tra gli uomini. Quella contro la teoria del "razzismo esagerato" perpetrata da Mussolini e di riflesso da Adolf Hitler fu comunque l'ultima battaglia di Papa Pio XI, ormai gravemente ammalato e vicino alla morte, avvenuta il 12 febbraio 1939».

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INTERVISTA CON LA STORICA MATARD-BONUCCI

Luglio 1938: e l’Italia si scopre antisemita

da Parigi Daniele Zappalà

«Le leggi razziali del 1938 furono solo indirettamente eredi del razzismo già propugnato in Etiopia dal regime fascista. Ma con quest'ultimo, ebbero un chiaro punto in comune: la volontà di cambiare il carattere degli italiani». A sostenerlo è la storica francese Marie-Anne Matard-Bonucci, per la quale la legislazione antisemita di 70 anni fa sottese un «progetto di rivoluzione antropologica volto a fare degli italiani un popolo di conquistatori, dominatori, guerrieri». Della studiosa, la casa editrice Il Mulino ha appena pubblicato il volume L'Italia fascista e la persecuzione degli ebrei (pagine 518, euro 29).

Lei sostiene che l'antisemitismo fascista fu essenzialmente di natura politica. In che senso?

«Fino alla metà degli anni Trenta, il regime non fu antisemita e criticò anzi abbastanza fortemente l'antisemitismo nazista. Le leggi razziali rappresentarono dunque, a mio parere, una rottura nella storia dell'Italia contemporanea e in particolare del regime fascista. Nel 1937, data di questa rottura, il regime conosceva un certo affievolimento del consenso e una forma di pausa nella dinamica totalitaria, dopo gli entusiasmi suscitati dall'offensiva in Etiopia. Il regime non aveva più autentici antagonisti politici e dunque le leggi antisemite furono pensate come un mezzo per rilanciare la macchina totalitaria».

Dato che un certo tipo di attivismo è l'essenza stessa di tali regimi?

«Sì, in fondo alle élite fasciste occorrevano dei nemici utili all'innesco di un discorso, all'esplicitazione di una norma da seguire. Ma ciò non vuol dire che gli ebrei vennero scelti per caso. Il contesto delle relazioni con la Germania era importante, anche se la decisione italiana venne presa in modo autonomo. Non ci furono pressioni dirette, ma giocò il fascino esercitato dalla Germania nazista. Del resto, Mussolini leggeva attentamente i rapporti provenienti dalla Germania sulla funzione politica dell'antisemitismo».

Come venne creata la "questione ebrea"?

«Il problema della tradizione è importante. Vari Paesi europei come la Francia hanno conosciuto nel XIX secolo movimenti politici di massa antisemiti. L'Italia non aveva sperimentato l'antisemitismo politico. Esso esisteva nella società, ad esempio in certe frazioni cattoliche, nazionaliste o socialiste. Ma non esisteva un antisemitismo organizzato. Il regime fu costretto quasi a inventare una tradizione, prendendo a prestito elementi presenti in Francia e soprattutto in Germania».

Lei sottolinea che la comunità ebraica italiana era relativamente ben integrata rispetto alle consorelle europee...

«Si trattava in effetti di una specificità in Europa. La comunità ebraica italiana era particolarmente ben integrata, come mostra ad esempio l'indicatore dei matrimoni misti, molto più numerosi che negli altri Paesi. Ad attestarlo sono anche gli archivi delle organizzazioni ebraiche».

Per imporre le leggi razziali alla società, il regime dovette superare l'ostacolo della Casa reale e soprattutto quello della Chiesa. Cosa accadde?

«Il regime temeva le reazioni di queste due istituzioni. Il re emise qualche protesta di principio, ma accettò le leggi razziali abbastanza rapidamente, come aveva fatto con altre evoluzioni del governo fascista. Il regime aveva molto più da temere dalle reazioni della Santa Sede. Ciò che sappiamo è che Papa Pio XI era probabilmente più determinato ad opporsi alla svolta antisemita che parte del proprio entourage. Nonostante la malattia, il Papa incaricò il padre gesuita John La Farge di curare una bozza d'enciclica sull'unità del genere umano e di condanna dell'antisemitismo. Dopo la morte di Pio XI, l'enciclica resterà però nei cassetti e non verrà utilizzata».

Al contempo, dalla Santa Sede giunsero lo stesso parole di condanna.

«Il Papa emise delle proteste pubbliche, benché davanti a platee relativamente contenute, come ad esempio quando incontrò del settembre 1937 dei pellegrini belgi, affermando: "Siamo spiritualmente tutti semiti". Affermazioni come queste scatenarono l'ira di Mussolini. Nell'entourage del Papa, ci furono interlocutori che affrontarono col regime la questione delle leggi razziali. Questi interlocutori si limitarono alla questione dei matrimoni misti. Ma ciò non impedirà poi al regime di emanare lo stesso il loro divieto. Complessivamente, l'opposizione della Chiesa rimase limitata. La Chiesa non venne coinvolta durante l'adozione delle leggi razziali, ma in seguito, a partire dal 1938, il regime cercherà di presentare le leggi razziali come un elemento di continuità rispetto a certe tendenze antisemite precedenti esistenti in ambienti cattolici».

Fino a che punto Mussolini fu in prima persona antisemita?

«In generale, fu una figura ambigua e ondivaga, ma fu anche certamente antisemita. È lecito interrogarsi sulle ragioni che lo spinsero per oltre 15 anni a tenere celato quest'antisemitismo, astenendosi da qualsiasi dichiarazione pubblica antisemita. È anche chiaro che il suo antisemitismo non ebbe nulla a che vedere con l'antisemitismo redentore e fanatico di Hitler. Mussolini aderì a un insieme di stereotipi ereditati da una certa cultura nazionalista, ma anche da una certa tradizione antisemita del movimento operaio».

Nel suo saggio, numerosi titoli di capitoli portano dei punti interrogativi. Tante questioni restano dunque aperte?

«Si tratta di questioni complesse. Ci si deve interrogare ancora, in particolare, sull'atteggiamento della società italiana rispetto all'antisemitismo. Si possono studiare le direttive provenienti dall'alto, le leggi e la loro applicazione, le reazioni dell'amministrazione e del partito, ma nel quadro di un regime dittatoriale cogliere i comportamenti della società è molto più difficile. Si è spesso detto che gli italiani furono in gran parte opposti alle leggi razziali, ma non abbiamo ancora studi sufficienti su questo punto».

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