mercoledì 4 febbraio 2009

I retroscena della questione lefebvriana secondo Marroni


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Chi comanda (davvero) in Vaticano

di Carlo Marroni

I sussurri dei corridoi dei Sacri Palazzi ormai superano le alte mura di cinta. Le tempeste esterne cui è sottoposta sempre più spesso la Chiesa di Benedetto XVI rendono più chiaro un problema di gestione, di "governance debole", che in molti tra gli altri prelati giudicano sempre più evidente. Mentre negli ultimi anni di Giovanni Paolo II si avvertivano vuoti nella catena di comando, oggi il problema sembra opposto: ci sono troppe catene che s'intrecciano sotto il Sacro Soglio, creando talvolta una certa confusione che può sfociare in crisi esterne.

Il caso dei lefebvriani - che invece di sgonfiarsi sembra destinato a un'escalation - ne è l'emblema, e fa venire allo scoperto i critici. Se il cardinale delegato all'unità dei cristiani e ai rapporti con l'ebraismo Walter Kasper - che ratzingeriano organico non è mai stato ma è pur sempre un tedesco - denuncia la cattiva gestione da parte della Curia (e non certo la decisione del Papa) del caso del vescovo negazionista Williamson, allora c'è davvero un problema al di là della Porta Sant'Anna.

Teologi e canonisti alla guida della Chiesa

Ma la domanda allora è: chi, sotto Ratzinger, comanda in Vaticano? Bisogna partire da un dato: questo pontificato ha per la prima volta da un secolo e mezzo un Papa e un segretario di Stato (il "primo ministro" che guida il Governo della Santa Sede) che non provengono dalla carriera diplomatica. Ratzinger è un teologo e il cardinale Tarcisio Bertone un canonista.
Ratzinger non ama la gestione e per quanto possibile la delega all'attivissimo Bertone, che da quando è stato nominato il 15 settembre 2006 al posto di Angelo Sodano ha promosso un vasto cambiamento ai vertici della Curia. La formazione del salesiano Bertone lo ha portato a dare spazio a chi come lui viene dal mondo dei canonisti: dall'arcivescovo (e futuro cardinale) Angelo Amato, alla guida della cause dei Santi, a un altro salesiano, il cardinale Raffaele Farina alla Biblioteca, fino al cardinale Agostino Vallini al posto di Camillo Ruini al Vicariato di Roma.

Il peso ridotto dei diplomatici

Insomma, i diplomatici hanno subìto uno scarto rispetto al passato e i nuovi "numeri due" della Segreteria, il sostituto Fernando Filoni e il "ministro" degli Esteri, Dominique Mamberti, pur essendo personaggi-chiave restano in ombra rispetto ai loro predecessori. Al livello inferiore i motori sono i monsignori Gabriele Caccia e Pier Parolin, i due sottosegretari che hanno in mano i principali dossier, abilissimi diplomatici. Quindi Bertone si avvale di tutte le esperienze - in particolare dentro la Segreteria di Stato vengono segnalati in crescita i monsignori Ettore Balestrero e Antonio Guido Filippazzi - ma ha un metodo decisionale che differisce dalle consuetudini dei predecessori. E sulla vicenda Williamson è stato notato il suo superiore e di certo abile distacco (oggi per esempio è in Spagna e nei giorni scorsi era in Messico). Così tutto è avvenuto a livelli decisionali immediatamente inferiori.

I retroscena della questione lefebvriana

Dopo il Motu Proprio del 2007 sulla cosiddetta Messa in latino, che avviò il riavvicinamento con i lefebvriani scomunicati - nel 1988 Ratzinger non fu d'accordo con la scomunica, spinta da Sodano e da Achille Silvestrini, allora ministro degli Esteri - voleva arrivare a una piena riconciliazione formale e voleva far coincidere l'evento con la giornata dell'unità dei cristiani. A spingere per una rapida decisione è stato soprattutto il cardinale colombiano Dario Castrillon Hoyos, dal 2006 a capo del'Ecclesia Dei, l'organismo creato da Wojtyla all'indomani della scomunica per cercare vie al perdono.
Castrillon - molto sensibile a organismi forti nel mondo ispano-americano come Opus Dei e Legionari di Cristo - ha così gestito in buona parte la stesura del decreto che poi è stato firmato - pare senza entusiasmo - da Giovanni Battista Re, capo del dicastero dei Vescovi, esponente di spicco della Segreteria di Stato dell'era di Giovanni Paolo II, e senza coinvolgere il capo dei Testi legislativi, l'arcivescovo Francesco Coccopalmerio, milanese di formazione martiniana. Un percorso, quindi, che ha visto non tutti concordi. Anzi. La vecchia guardia progressista era quantomeno cauta, visto che le posizioni dei lefebvriani erano ben note, sia riguardo al Concilio sia su altri fronti, a partire dal dialogo con gli ebrei. Poi l'incidente dell'intervista.

Qualcuno, magari della vecchia guardia wojtyliana, vicino agli ancora potenti Sodano e Ruini, ha teso una trappola? Difficile affermarlo. Da ieri circola l'indiscrezione di un dossier che gira dentro il Vaticano, in cui si afferma che la diffusione della sconcertante intervista che nega la Shoah sarebbe stata pilotata da ambienti (compresa la massoneria francese) che volevano mettere in difficoltà il Papa. Una fonte afferma che nessuno dentro le mura vaticane sapeva dell'intervista, custodita da qualche organizzazione ebraica che (legittimamente) monitora tutto ciò che esce sulla stampa mondiale e che l'ha tirata fuori alla vigilia del decreto.

Una governance da riequilibrare

In ogni caso, quella di Williamson è la prova di una governance che per qualcuno deve essere riequilibrata, come rileva anche Famiglia Cristiana nell'ultimo editoriale. Un altro caso portato ad esempio è quello della mancata visita del Papa all'Università La Sapienza di un anno fa. In quella vicenda fu chiaro che dentro il Vaticano c'erano due anime: chi voleva gestire la trattativa senza strappi e chi, nella destra ecclesiale, spingeva per addossare al Governo di centro-sinistra la responsabilità delle proteste. Sappiamo com'è andata.
L'altro incidente fu il discorso di Ratisbona il 12 settembre 2006: forse complice il cambio della guardia alla Segreteria di Stato (ma pare che Sodano avesse avvertito dei rischi) il discorso di Ratzinger fu interpretato come un attacco all'Islam, provocando problemi con il mondo musulmano che ancora oggi via via riaffiorano. Il Papa voleva dire l'opposto di quello che fu percepito al momento, ma si sa che nella società della comunicazione, tutti – e soprattutto questo vale per chi svolge un servizio per sua stessa definizione "universale" – sanno che un discorso vale per come viene recepito e non per le intenzioni di chi lo ha pronunciato.

Conservatori contro progressisti

Sulla sfondo resta dentro la Chiesa tutta, al di là delle appartenenze ai filoni canonista e diplomatico, la storica dicotomia tra progressisti e conservatori con al centro il dibatto sul Concilio, quanto mai vivo dopo il caso dei lefebvriani, e le varie questioni sul tappeto, dagli immigrati alle moschee. I progressisti innalzano sempre il vessillo del cardinale Carlo Maria Martini - eredità oggi raccolta da Dionigi Tettamanzi - mentre quelli che vengono indicati come esponenti della "linea dura" sono qua e là identificati in gruppi sparsi tra Curia (da poco è stato nominato al Culto divino lo spagnolo Antonio Canizares, detto anche il "piccolo Ratzinger") ed episcopato, come il bolognese Carlo Caffarra o il torinese Severino Poletto.

© Copyright Il Sole 24 Ore, 4 febbraio 2009 consultabile online anche qui.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

mi sembra poco verosimile che "nel 1988 Ratzinger non fu d'accordo con la scomunica": mica è stata un atto discrezionale, si è verificata automaticamente dopo l'ordinazione non autorizzata di 4 vescovi, non è questione di essere d'accordo o meno.

Raffaella ha detto...

Concordo.
Si e' trattato di una scomunica latae sententiae (per Prosperi: automatica).
Anche se avesse voluto, il card. Ratzinger non avrebbe potuto opporsi.
R.

Anonimo ha detto...

Il dalli al Papa in Germania non conosce requie. Adesso ci si è messo il presidente della Spd.
Già, le elezioni ... Che ignobili sciacalli!
Alessia

Anonimo ha detto...

Poletto conservatore...gulp! da quando?