martedì 3 febbraio 2009

Così il cardinal Siri tentò di evitare lo scisma lefebvriano (Bordero)


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Su segnalazione di Alessia leggiamo:

Così il cardinal Siri tentò di evitare lo scisma lefebvriano

di Gianteo Bordero

Un tentativo audace e coraggioso, mosso da un genuino spirito cattolico, volto a preservare l'unità della Chiesa. Questo fu ciò che decise di compiere il cardinal Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova dal 1946 al 1987, nei confronti di monsignor Marcel Lefebvre prima che su quest'ultimo cadesse la scomunica latae sententiae a seguito dell'ordinazione di quattro vescovi fatta senza la necessaria autorizzazione papale nel 1988.

Il rapporto tra Siri e Lefebvre datava agli anni del Vaticano II, quando attorno all'arcivescovo del capoluogo ligure, allora presidente della Cei, si raccolse gran parte dell'episcopato contrario alla trasformazione delle assise conciliari in un'occasione di rottura radicale con la tradizione della Chiesa. La sera del 22 ottobre del 1963, proprio nel bel mezzo della discussione riguardo al documento conciliare sulla Chiesa (quello attorno al quale si sarebbe poi verificata la clamorosa presa di posizione del Papa Paolo VI con la Nota Praevia del 16 novembre 1964 sul significato della parola «collegialità») i due si incontrarono alla prima riunione di quello che sarebbe poi divenuto il Coetus Internationalis Patrum, un gruppo che inizialmente raccoglieva una trentina di padri conciliari «preoccupati e insoddisfatti dei lavori in aula» (Benny Lai, Il Papa non eletto, Laterza 1993), coordinati dal vescovo brasiliano Gerardo de Proenca Sigaud e dallo stesso monsignor Lefebvre.

Nei mesi immediatamente successivi, durante una pausa dei lavori conciliari, Lefebvre decise di inviare a Genova padre Cristiano Charlot, allora seminarista e suo aiutante, per incontrare il cardinal Siri e proporgli la creazione di un seminario internazionale nel quale i giovani destinati al sacerdozio potessero ricevere una formazione nel solco della tradizione cattolica, in opposizione alla deriva progressista di buona parte della teologia. Racconta Charlot, poi divenuto sacerdote della «Fraternità di Maria» e in seguito fidato collaboratore dello stesso Siri, intervistato da padre Raimondo Spiazzi nel libro Il cardinale Giuseppe Siri (Edizioni Studio Domenicano, 1990): «Sulla faccenda del seminario di Lefebvre mi disse: "E' un'ottima cosa, bisogna farla bene, sempre però nello spirito della Chiesa, in obbedienza"». E sul Coetus Internationalis Patrum: «Siri diceva che non bisognava distruggere con le nostre riunioni quello che la Chiesa ha istituito. Non voleva che ci fosse un sindacato dei padri del Concilio, a prescindere dal ruolo, per fare pressione. Se la Chiesa lo aveva voluto cardinale un motivo c'era: i cardinali dovevano avere un occhio largo sulla Chiesa universale e aiutare in questo il Papa».

Da questo episodio circostanziato emerge, tra l'altro, la grande differenza d'approccio al Concilio (e alla Chiesa) da parte di Siri e di Lefevbre: se il primo, pur con tutte le personali riserve in merito allo svolgimento e alla piega che andava prendendo il Vaticano II, metteva sempre al primo posto l'obbedienza al Papa e il dovere di collaborare con lui al fine del raggiungimento del bene generale della Chiesa, il secondo tendeva già allora a far prevalere il proprio particolare punto di vista, declinandolo in modo ideologico, e quindi potenzialmente «violento», nei confronti del dettato conciliare. Il seguito della storia prova che questa prima differenza iniziale tra Siri e Lefebvre sarebbe poi stata all'origine della divaricazione delle loro strade: la prima produsse un impegno fruttuoso dentro il corpo ecclesiale, nella fedeltà al Papa, per leggere il Concilio in continuità con la storia della Chiesa, dando voce e parole a coloro che, pur critici nei confronti del Vaticano II, non volevano perdere il senso e la ricchezza della loro esperienza cattolica; la seconda ebbe come esito la «fuga» ad Ecône, la rottura con il papato, l'ordinazione episcopale senza mandato pontificio, la scomunica e lo scisma, in rivolta contro lo stesso magistero che si voleva a spada tratta difendere (come sottolineò allora un comunicato stampa di Comunione e Liberazione, «quanto accaduto a Ecône è una gravissima ferita all'unità del corpo di Cristo, di fronte alla quale impallidiscono tutte le ragioni addotte per spiegarlo. La conseguenza più grave di questo atto di ribellione compiuto per difendere i valori della tradizione è proprio quella di favorire gli avversari della vera tradizione»).

Fu proprio in forza del suo amore alla Chiesa cattolica e alla sua unità che il cardinal Siri, negli anni che precedettero la scomunica, tentò in tutti i modi di prevenire quello che già allora appariva come un possibile, doloroso scisma all'interno della Chiesa. Con padre Charlot, che nel frattempo era entrato a far parte della «Fraternità della Santissima Vergine Maria», rispose positivamente all'invito di monsignor Lefebvre per una collaborazione con il suo seminario. Racconta Charlot: «Gli dicemmo di sì, purché accettasse il nostro spirito: bisognava entrare positivamente in una visione più mistica della Chiesa, bisognava apprendere le riforme conciliari e cercare di vivificarle con lo spirito della Chiesa eterna. Non era chiuso, Lefebvre. Ma intorno aveva gente... che non voleva sentir parlare che della Messa, che delle forme. Lo avrebbero abbandonato se avesse accettato il punto di vista di Siri. Qui finì la stima di Siri per Lefebvre».

Nonostante ciò, l'impegno del cardinale genovese per ricucire i rapporti tra Roma ed Ecône rimase vivo e fu massimo anche negli anni successivi, dopo la sospensione a divinis di monsignor Lefebvre avvenuta nel 1976 a causa dell'ordinazione di sacerdoti stante il divieto impostogli dal Vaticano. Siri fu molto attivo in tal senso nel 1977-1978. Negli ultimi mesi di quell'anno, anche in seguito ad alcuni ripensamenti di Lefebvre e alle pubbliche parole di apprezzamento da questi riservate al cardinale in occasione del secondo conclave di quell'anno, invitò il monsignore a Genova, proponendogli uno schema di accordo: «Piena sottomissione all'autorità del Papa e altrettanta piena adesione alle norme del Concilio. L'unica richiesta di Lefebvre riguardava il permesso di celebrare la messa in latino secondo il rito di San Pio V» (B. Lai, Il Papa non eletto).

Il cardinale fu ricevuto in udienza da Giovanni Paolo II il 13 novembre del 1978 e lì sottopose al pontefice la bozza di accordo che Lefebvre sembrava disposto ad accettare. Papa Wojtyla diede il suo assenso e decise di ricevere il fondatore della San Pio X in Vaticano il giorno 18 novembre.

Siri aveva consigliato a Giovanni Paolo II di informare della visita di Lefebvre soltanto, a titolo personale, il cardinale Franjo Seper, presidente del Sant'Uffizio. E gli aveva suggerito di far pubblicare solo a cose fatte, sull'Osservatore Romano, un breve comunicato nel quale si annunciava che il monsignore aveva «regolato le sue questioni con la Santa Sede».
Ma qualcosa non andò per il verso giusto, e all'incontro tra il Papa e Lefebvre non seguì alcun annuncio della pace fatta tra la Santa Sede e la San Pio X. Scrive Lai: «L'udienza portò nei primi giorni del 1979 ad un colloquio di Seper con il vescovo "ribelle", da questi bruscamente interrotto. Il vescovo francese, il quale pensava di aver risolto la questione con il pontefice, si trovò sottoposto alla normale procedura del Sant'Uffizio riguardante le imputazioni dottrinali e disciplinari». Inoltre «apprese da un comunicato della sala stampa della Santa Sede che sarebbe stato soggetto al giudizio di un tribunale composto da cinque cardinali, alcuni dei quali, a suo avviso, lo avevano già condannato». Così fallì il tentativo di Siri. Se esso fosse andato a buon fine, quasi certamente non avrebbe poi avuto luogo la definitiva rottura del 1988, culminata con la scomunica e lo scisma. Il 22 giugno di quell'anno, quando Lefebvre annunciò la sua intenzione di ordinare quattro vescovi, il porporato genovese così scriveva al monsignore francese: «Monsignore, vi prego in ginocchio di non distaccarvi dalla Chiesa! Voi siete stato un apostolo, un grande vescovo; voi dovete restare al vostro posto. Alla nostra età noi siamo davanti alla porta dell'eternità. Riflettiamo! Io vi attendo sempre, qui nella Chiesa e poi in Paradiso». Era l'ennesima, dolorosa testimonianza di ciò che per Siri era essenziale: l'amore alla Chiesa e all'unità delle sue membra prima di tutto.

In conclusione, riallacciando il filo del discorso con l'attualità, è importante notare come la proposta di mediazione del porporato genovese del 1978 sia stata poi ripresa, sostanzialmente nei termini prima esposti, ma purtroppo senza fortuna, in primo luogo dal successore del cardinal Seper alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede: quel cardinale Joseph Ratzinger che si avvia oggi, da Papa, con tutta l'autorità che da ciò discende, a dare compimento definitivo, dopo trent'anni, agli sforzi di Giuseppe Siri, il cui impegno, come si vede, non è stato vano.

Anche se ha dovuto fare i conti con tutte le difficoltà che sempre incontrano i profeti e i precursori.

© Copyright Ragionpolitica, 3 febbraio 2009

1 commento:

Caterina63 ha detto...

Del libro citato di padre Raimondo Spiazzi, suggerisco una lettura integrale...perchè dice molto di più...^__^

Le ricostruzioni storiche, a mio parere, e di fatti così ingarbugliati e delicati... fra Prelati, andrebbero fatte a 360 gradi (anche se comprendo che lo spazio è sempre poco) per evitare sempre quel rischio di avere una visione parziale dei fatti e per non rischiare di dover pensare che uno dei "frutti" della politica ecclesiale del grande card. Siri possa essere stato, ahimè....un don Gallo sul quale nessun prelato ha cercato di frenare le derive dottrinale di tal sacerdote a suo modo disobbediente al Magistero Pontificio e critico verso la Dottrina etica e morale della Chiesa...
Così come abbiamo un vero frutto che possiamo vedere in mons. Guido Marini....

Tuttavia mi chiedo: dove è finito il magistero del card. Siri nella sua Liguria?

:-[