martedì 3 marzo 2009

La gratitudine di Pomigliano d'Arco dopo l'appello del Papa all'Angelus. Intervista con Mons. Depalma (Radio Vaticana)


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La gratitudine di Pomigliano d'Arco dopo l'appello del Papa all'Angelus. Intervista con mons. Depalma

All’indomani dall’appello del Papa in favore degli operai dello stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco è grande la gratitudine al Santo Padre dell’intera comunità del comune in provincia di Napoli. Benedetto XVI pensando alle conseguenze della crisi in varie parti di Italia e non, ha ricordato agli imprenditori e alle autorità politiche di dare la priorità ai lavoratori e alle loro famiglie. Già nei giorni scorsi il vescovo di Nola, mons. Beniamino Depalma era sceso in piazza a manifestare con gli operai della Fiat e aveva parlato della crisi come di un terremoto che sta facendo “strage di famiglie e giovani”. Al microfono di Paolo Ondarza, mons. Depalma spiega come sono state accolte a Pomigliano le parole del Papa:

R. – Con grande gratitudine, perché le parole del Papa – ci auguriamo – possano essere ascoltate dalla politica e soprattutto dall’azienda della Fiat. La gente voleva questo appoggio del Santo Padre perché le loro ragioni potessero più facilmente essere prese in considerazione a Pomigliano. Dovunque c’è senso di gratitudine, anche di ammirazione, per questo coraggio del Santo Padre in Piazza San Pietro.

D. – Dopo le parole del Santo Padre, è aumentata la speranza tra i lavoratori di Pomigliano?

R. – E’ aumentata la speranza. Nello stesso tempo, non le nascondo che ci sono ancora delle perplessità: fino a che punto quelle parole chiave, forti, del Papa riusciranno realmente a convincere l’azienda a impostare nuovi programmi per la gente di Pomigliano.

D. – E la risposta dell’azienda non è ancora arrivata …

R. – Fino a questo momento, quella ufficiale non è arrivata. Mi si dice che qualcosa potrebbe succedere.

D. – Eccellenza, lei la scorsa settimana è sceso in piazza accanto ai cittadini che chiedevano che il loro lavoro venisse conservato …

R. – Quello che potrebbe succedere a Pomigliano – il licenziamento di quasi 20 mila persone – sarebbe una terribile tragedia, con conseguenze spaventose sulle famiglie. Chiudere una fabbrica significa dire ai giovani: andate dai camorristi, vi utilizzeranno molto meglio che non le leggi dello Stato o la legalità. Quindi, io sono sceso vicino agli operai perché credo che in questo momento, nel nostro territorio, la Chiesa sia l’unico punto di riferimento.

D. – Lei ha pensato ai giovani a cui è necessario garantire un futuro, un futuro di lavoro …

R. – Certamente, quello che potrebbe succedere significherebbe dare l’ultimo colpo al loro coraggio e anche al loro entusiasmo, alle loro aspettative.

D. – Lei ha parlato di vero e proprio terremoto, ed è un terremoto che sta sconvolgendo non solo Pomigliano …

R. – Gli operai di Pomigliano non appartengono soltanto a Pomigliano: appartengono ad altre città! Tutto il territorio è coinvolto! Oggi i poveri aumentano: nei nostri centri Caritas arrivano nuovi volti, non soltanto gli extracomunitari. Arrivano anche cittadini di Pomigliano o dei paesi vicini che fino a ieri erano autonomi ed autosufficienti. E un pranzo – o la mattina, o la sera – è la loro salvezza.

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