domenica 22 febbraio 2009

Il dialogo fra liberali e cattolici è vivo e ha bisogno di tutti i suoi protagonisti: Pertici risponde a Galli della Loggia


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Una risposta a Galli della Loggia

Il dialogo fra liberali e cattolici è vivo e ha bisogno di tutti i suoi protagonisti

di Roberto Pertici

22 Febbraio 2009

In un articolo recente («Corriere della sera», 15 febbraio 2009), Ernesto Galli della Loggia ha dichiarato finita (o prossima a finire) una stagione culturale: quella del dialogo tra laici di orientamento liberale e cattolici.
Ne traccia una storia in cui affiora tutta una serie di motivi anche di carattere autobiografico, ché di quella stagione egli è stato uno dei protagonisti: dalla metà degli anni Novanta, dai tempi del mensile «Liberal».

Di tale esaurimento cerca di individuare le cause, prima fra tutte la scarsezza di intellettuali cattolici veramente interessati a un dialogo con la cultura liberale: in campo cattolico – scrive – l’opinione pubblica colta è in grande maggioranza orientata a sinistra.

L’osservazione è sostanzialmente esatta, ma non credo che egli si sia mai fatte eccessive illusioni a riguardo: da storico acuto delle ideologie e delle culture politiche dell’Italia repubblicana, conosce meglio di chiunque altro il carattere pervasivo del fenomeno progressista dell’ultimo cinquantennio, che ha investito parallelamente e con motivi sostanzialmente analoghi così il mondo cattolico come quello laico e che tende ad autoriprodursi nelle cordate accademiche come nelle redazioni dei giornali. E sa che quell’onda lunga, nonostante le delusioni storiche, gli argini frapposti e le sconfitte accumulate, è tutt’altro che finita: ormai è una costante della storia italiana recente. Tuttavia sta ai laici di orientamento liberale - se continuano a ritenere necessario il dialogo col mondo cattolico – ricercare con pazienza e tenacia gli interlocutori, magari non nel Gotha della cultura accademica e del giornalismo, magari altrove: anche in quei movimenti a cui accenna egli stesso. E’ possibile che vi alberghi un certo radicalismo (basti pensare alle interpretazioni del Risorgimento che spesso vi circolano), ma ci sono anche energie fresche, serietà ed entusiasmo.

La scarsezza di interlocutori fra gli intellettuali cattolici ha implicato spesso – aggiunge lo storico romano – che gli unici cattolici “disponibili” siano stati alcuni esponenti della gerarchia e ciò ha avuto conseguenze molto negative: perché quegli incontri sono stati facilmente etichettati come “politici” e hanno suscitato un “fuoco di interdizione” da parte dei laici intransigenti e della sinistra rivelatosi alla fine efficace.

Anche qui come poteva farsi illusioni? Ritiene veramente che quegli ambienti di “laici intransigenti” (così li chiama) avrebbero accettato quel confronto senza mettere in atto uno sbarramento mediatico di cui sono maestri, anche se si fosse trattato del compianto Giorgio Rumi o di Augusto Del Noce? Meglio di chiunque altro ricorderà le polemiche che accompagnarono molte delle iniziative di «Liberal» e anche le contumelie e i sospetti che circondarono quell’iniziativa. E poi perché un cardinale che parla di cultura o di questioni storiche o filosofico-antropologiche deve essere considerato “vitando”, in un mondo in cui tutti si sentono in diritto di rivolgersi all’opinione pubblica sulle questioni più controverse, da Benigni a Paolo Bonolis? Non si finisce per accettare così i “paletti” posti dal mainstream dominante, anziché cercare di superarli?
Galli della Loggia aggiunge un’altra osservazione che si può così sintetizzare: i laici liberali si mettono in una posizione oggettivamente difficile dialogando con prelati e uomini di Chiesa e poi costoro non hanno nessuna remora a privilegiarne gli avversari più agguerriti, quelli che costantemente li attaccano proprio in nome della “laicità”. E’ una situazione reale, che tuttavia solo marginalmente deriva (Galli ha ragione) da una sorta di machiavellismo ecclesiastico. Egli parla di “separatezza” e di “autoreferenzialità”, ma io credo che si tratti anche di qualcosa d’altro. La chiamerei “inconsapevolezza culturale”: difficoltà a cogliere le implicazioni radicalmente anti-cattoliche di tutta una serie di posizioni o la presunzione di poterle in qualche modo ménager con un atteggiamento di apertura e di dialogo. Ma certo entra in gioco (speriamo nella maggior parte dei casi) anche l’atteggiamento cristiano di non considerare mai del tutto perduto un qualche interlocutore e di non rinunziare a un qualche contatto con lui. Sono comportamenti che riescono sovente di difficile comprensione a un laico che “realisticamente” tende a prendere atto dell’inconciliabilità delle posizioni e a comportarsi di conseguenza.
Per queste (e molte altre) ragioni, credo che nessuno possa veramente rassegnarsi all’eventualità che il dialogo fra laici liberale e cattolici si esaurisca. Galli ha ricordato le difficoltà che provengono dagli ambienti cattolici: chiediamoci per un istante se non ve ne siano anche da parte laica. Credo che, su questo versante, il problema fondamentale sia stato spesso quello di aver eccessivamente subito la pressione dei “laici intransigenti”: i comunisti del XX secolo hanno avuto sempre difficoltà ad avere “nemici a sinistra” e a svolgere una polemica su due fronti. Sul terreno della “laicità” si ha spesso l’impressione che nella stessa situazione si trovino i laici di ispirazione liberale: hanno chiara la distinzione (storica e concettuale) tra “liberalismo” e “laicismo”, ma poi difficilmente operano un effettivo taglio delle ali: verso l’integralismo cattolico, certo, ma anche verso il laicismo intransigente. Troppo spesso sembra che si sentano sotto esame e non esplicitino fino in fondo la linea di demarcazione che li separa dalla cultura radicale. Aspirano a una terza via, non tra l’integralismo laico e quello clericale, ma tra un radicalismo intransigente e un liberalismo conservatore, accusato anche da loro – lo fa proprio Galli nell’articolo di cui stiamo discutendo – di “recepire per intero il punto di vista della Santa Sede” e quindi di criptoclericalismo. Perché contribuire a squalificare posizioni che si possono legittimamente non condividere, dipingendole come frutto di mero opportunismo politico?
Ernesto Galli della Loggia non ha certo bisogno dei consigli o delle esortazioni di chi scrive: lo ricordo nel settembre 1977 fra i primi a denunziare da un punto di vista riformista la cultura della contestazione di quell’anno; negli anni Ottanta, assumere con coraggio posizioni di critica del terzomondismo e dirsi filo-americano e filo-israeliano; introdurre poi nel dibattito pubblico del nostro paese il tema spinoso della “morte della patria”, suscitando reazioni rabbiose e incorrendo persino nella pubblica censura della massima carica dello Stato, senza che quasi nessuno dei nostri colleghi sentisse il bisogno di protestare in nome della libertà di ricerca. E’ stato fra i primi – lo si è sottolineato – a riaprire un confronto fra liberalismo e cristianesimo: questo dialogo – con tutte le difficoltà e gli intoppi che incontra - resta essenziale e ha ancora bisogno di lui.

© Copyright L'Occidentale, 22 febbraio 2009

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