giovedì 18 dicembre 2008

De Beni: Cattolici tutti zitti sulla Shoah? «Mio padre salvò due ragazze» (Dignola)


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Cattolici tutti zitti sulla Shoah? «Mio padre salvò due ragazze»

De Beni, figlio di un ufficiale che portò dall'Ucraina a Gromo due ebree, si ribella «La Chiesa aiutò molto gli ebrei. Fini ha perso un voto. Anzi, non solo il mio»

Carlo Dignola

«Ma cosa dice Gianfranco Fini? Scempiaggini! La mia famiglia è sempre stata di destra, mio nonno, Berardo Cittadini, era il podestà di Gromo ma Fini il mio voto non lo avrà più, su questo non c'è alcun dubbio».
Il presidente della Camera sulle questioni etiche fa il laico a oltranza, e anche sulla storia ora strizza l'occhio alla sinistra anticattolica, ma al suo elettorato tradizionale piace sempre meno: «Non sono l'unico arrabbiato» dice il dottor Berardo De Beni: «Fini questa volta mi ha lasciato veramente esterrefatto. La Chiesa ha fatto moltissimo per salvare gli ebrei».
De Beni è un medico, ha lavorato a Seriate e ora che è in pensione vive a Bergamo. Al bavero porta la «Croce d'oro» dell'Avis. È veramente molto seccato: «Non posso tollerare – dice – che chiamino Pio XII "il Papa di Hitler". Se avesse detto qualcosa contro il führer le truppe tedesche avrebbero immediatamente occupato la Città del Vaticano; e avrebbero preso un sacco di ebrei e di antifascisti che erano rifugiati proprio nei Sacri palazzi. Solo chi non ha vissuto quegli anni può non capire queste cose: proclami non se ne potevano lanciare, si poteva far qualcosa solo in segreto». Tira fuori un volumetto edito negli Oscar Mondadori due anni fa, dal titolo «I giusti d'Italia». A pagina 114 c'è la storia di suo padre, Benedetto De Beni, capitano d'artiglieria che si trovò a Lugansk (Voloshivolgrad), in Ucraina, quando nel '42 cominciarono i rastrellamenti tedeschi contro gli ebrei. Avvertì la comunità locale di fuggire, prese due ragazze di 14/15 anni sotto la sua protezione e le nascose nelle cucine dell'Esercito Italiano; un anno dopo le spedì in Italia da sua moglie, a Gromo, e in questo modo le salvò.
«Ma lasci stare il nostro caso» dice De Beni: «Provi solo a scorrere l'indice di questo libro», che da Vanda Abenaim alla famiglia Zuckermann racconta le storie di centinaia di ebrei salvati in Italia da uomini ai quali lo Stato d'Israele ha voluto riconoscere ufficialmente la qualifica di «giusti». «Basterebbe avere la pazienza di aprire un libro come questo e sarebbe facile accorgersi di quanti sacerdoti e quante suore si sono prodigati per salvare gli ebrei. Li ospitavano nelle chiese e nei conventi, si dice persino in alcuni di clausura: certamente i vescovi ne erano al corrente, non potevano essere iniziative di singoli; e certamente era stata data una disposizione pontificia, altrimenti non avrebbero potuto entrare nei conventi».
Quella del «silenzio» contro l'antisemitismo che Fini ora attribuisce non più solo al Papa ma all'intera Chiesa è una falsità che De Beni non vuole lasciar correre: «Scorra le pagine: è un libro un po' monotono, sono quasi tutte storie di ebrei che scappano e si nascondono in chiesa. Fa eccezione quella del cardinal Pietro Boetto di Genova, che faceva distribuire dal suo segretario i fondi che arrivavano dagli ebrei americani tramite la Svizzera (anche nelle situazioni più tragiche, c'è sempre una certa differenza tra chi scappa con il denaro e chi senza). Disse a quel sacerdote: "Ti assolvo fin d'ora dalle bugie che dovrai dire" per salvare queste vite».
Anche negli ambienti di destra la persecuzione degli ebrei trovò delle resistenze convinte. Benedetto De Beni mandò a casa propria Sara (che aveva cambiato il suo nome in Daria) e Rachel Turok perché il nonno, podestà di Gromo, avendo un certo potere poteva proteggerle senza troppi rischi. «A Voroshilovgrad era stato bombardato un teatro. I tedeschi mandarono gli ebrei a togliere le macerie. Daria, che aveva studiato musica, trovò un piano miracolosamente intatto. Quando le guardie tedesche si allontanarono si mise a suonare canzoni come "Santa Lucia" e "O sole mio"». I soldati italiani si avvicinarono, fecero amicizia, misero in contatto le due adolescenti con il comando dove De Beni guidava la contraerea e lui le prese in cucina: «Aiutavano un po', e intanto trovavano qualcosa da mangiare. Ma le mise anche sull'avviso: "Se i tedeschi vi danno ordine di riunirvi tutti in piazza non ci andate; avvisate i vostri parenti e amici di scappare nella steppa. Voi venite al comando che vi nascondiamo noi». Quaranta ebrei, tra i quali i genitori di Daria e Rachel, scapparono nel bosco come aveva consigliato De Beni, «gli altri, a centinaia, fra i quali 19 parenti delle Turok, furono fucilati e i loro corpi furono buttati nelle fosse che i Russi avevano scavato per fermare l'avanzata dei carri armati della Wehrmacht». Quando iniziò la ritirata dal Don, assieme ai soldati italiani ormai allo stremo De Beni fece salire sulla tradotta diretta in Italia anche le due ucraine, con una lettera di raccomandazione in tasca: «Raggiunsero Udine e poi Gromo, sono rimaste lì con noi fino al termine della guerra. Si mangiava – come dice Rachel – "polenta e fame", però la vita l'hanno salvata». Berardo De Beni allora aveva solo 11 anni ma ricorda bene che c'erano anche altri ebrei nascosti sulla montagna seriana, «alla Ripa alta per esempio: ma il maresciallo dei carabinieri mandava un suo amico ad avvertirli che l'indomani avrebbero fatto dei rastrellamenti». Suo padre dopo l'8 settembre fu fatto prigioniero dai tedeschi e finì internato in Germania: «Ma anche lui se l'è cavata».
De Beni dice che questa storia di Fini «fa un po' ridere», e che dietro a tutte queste polemiche storiche in fondo c'è sempre qualcosa di molto attuale: «La poltrona». Il bello è che nel libro «I giusti d'Italia», pieno di suore con il velo e monsignori, di collarini e di mitrie la prefazione era firmata proprio da Gianfranco Fini. In cui lo stesso presidente della Camera che l'altro giorno ha sostenuto che in Italia non ci fu nessuna resistenza contro le leggi razziali, «nemmeno, mi duole dirlo, da parte della Chiesa cattolica» presentava quei 400 casi di ebrei salvati soprattutto da cattolici come «un capitolo nuovo e importantissimo della storia dell'Italia», «un volume essenziale per capire chi siamo e chi siamo stati». Non sarebbe stato male leggerlo.

© Copyright Eco di Bergamo, 18 dicembre 2008

Vi confidero' un segreto: non ho mai votato per Fini ne' mai lo votero'. Ora so perche'...
R.

«Leggi razziali, Fini è stato opportunista»

CITTÀ DEL VATICANO

Fini sulle leggi razziali «sorprende e amareggia». Le sue parole dimostrano «approssimazione storica e meschino opportunismo politico».
Lo scriveva ieri l'«Osservatore Romano».
«Di certo, - rileva il giornale vaticano - sorprende e amareggia il fatto che uno degli eredi politici del fascismo, che dell'infamia delle leggi razziali fu unico responsabile e dal quale pure da tempo egli vuole lodevolmente prendere le distanze, chiami ora in causa la Chiesa cattolica. Dimostrando approssimazione storica e meschino opportunismo politico».
L'«Osservatore Romano» dedica alle dichiarazioni del presidente della Camera sulle leggi razziali un articolo nelle pagine interne, intitolato «A proposito delle dichiarazioni di Gianfranco Fini».
«Ha suscitato stupore e molte polemiche - registra il quotidiano della Santa Sede - il discorso pronunciato ieri (martedì, ndr) dal presidente della Camera dei deputati italiana, Gianfranco Fini, in occasione di un convegno per il settantesimo anniversario dell'introduzione delle leggi razziali in Italia».
L'«Osservatore Romano» riferisce la frase di Fini sul perché la società italiana si sia adeguata alla legislazione antiebraica e sull'atteggiamento della Chiesa in proposito. «Politici, storici e media - precisa il giornale vaticano - sono intervenuti per correggere o sostenere le affermazioni di Fini» e riferisce dei servizi e dei titoli della Radio vaticana, nonché il titolo di prima del «Corriere della Sera», «I silenzi di un Paese intero», e quelli di «Avvenire».
«Opportunismo sarebbe stato far finta di nulla di fronte ad una questione storica più volte discussa in ambienti Vaticani», replicano a loro volta ambienti della presidenza della Camera. «Attacco sconclusionato quello dell'organo della Santa Sede e dimostrazione di scarsa laicità», replica Enzo Raisi (Pdl-An).
«Comprendo le parole amareggiate dell'Osservatore Romano, come continuo a non comprendere le accuse di ieri (martedì, ndr) del presidente Fini alla Chiesa cattolica», afferma a sua volta il deputato milanese del Pd Enrico Farinone, vicepresidente della Commissione Affari europei. «Come hanno detto non pochi storici, furono tanti i cattolici, laici e religiosi, che si opposero alle leggi razziali - continua Farinone - lo ripeto: generalizzare non serve».

© Copyright Eco di Bergamo, 18 dicembre 2008

3 commenti:

Anonimo ha detto...

io però vorrei sapere chi ha detto "Cattolici tutti zitti sulla Shoah"

è una tecnica retorica subdola quella di mettere in bocca ai propri critici frasi peggiori di quelle che dicono, per poter difendersi meglio.

mariateresa ha detto...

caro Roberto, l'espediente di cui tu parli, è usato ad abundatiam contro papa Benedetto.
I media lo usano come il pane a tavola.

Anonimo ha detto...

è subdolo, chiunque lo usi