giovedì 18 dicembre 2008

Il card. Scola commenta il libro di Magister sulle omelie del Papa: Tutte le domande meritano una risposta (Osservatore Romano)


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L'anno liturgico narrato da Joseph Ratzinger

Tutte le domande meritano una risposta

Giovedì 18 a Venezia, presso la Scuola grande di San Giovanni evangelista, viene presentato il volume curato da Sandro Magister Omelie. L'anno liturgico narrato da Joseph Ratzinger, Papa (Milano, Scheiwiller, 2008, pagine 280, euro 18). All'incontro partecipa anche il cardinale patriarca di Venezia del quale pubblichiamo l'intervento.

di Angelo Scola

Penso sia un'esperienza comune di parecchi vescovi e sacerdoti aver visto balenare un'ombra di scetticismo sul volto dell'editore a cui si era appena proposta la pubblicazione di una raccolta di omelie. Non di rado, infatti, il fondato timore di magre vendite mette sulla bocca dell'editore tutta una serie di ragionevolissimi motivi per cui sarebbe molto più opportuno trasformare il contenuto del volume in una raccolta di saggi brevi, togliendo ogni riferimento agli interlocutori e alle occasioni concrete in cui i testi furono pronunciati, senza scartare l'ipotesi - ovviamente ritenuta di gran lunga preferibile - di scrivere ex novo un testo più agile e capace di intercettare i famosi "problemi reali" dell'uomo di oggi.
Questa sera invece presentiamo una vera e propria raccolta di testi di predicazione liturgica che, per giunta, si è avuto l'ardire di intitolare Omelie. Ovviamente non sfugge a nessuno l'eccezionalità dell'autore. Pubblicare le omelie di Benedetto XVI/Joseph Ratzinger è un'altra cosa, anche dal punto di vista della resa editoriale.
Ma la ragione profonda di questa sfida dell'editore Scheiwiller è stata ben individuata dall'ideatore e curatore, Sandro Magister. Egli ha identificato come uno degli assi portanti del pensiero del cardinale Ratzinger prima e di Benedetto XVI poi un'affermazione tratta da un celebre intervento dell'allora cardinale sulla catechesi: "Dio è il tema pratico e il tema realistico per l'uomo - allora e sempre".
Una tale affermazione, lungi da implicare una considerazione a-storica dell'umana avventura, pretende di coglierla nel suo aspetto più radicale e quindi critico: la questione del significato e, pertanto, del senso/direzione della storia, del suo destino. La centralità della "questione Dio" per la storia degli uomini accompagna la predicazione di Papa Benedetto e giustifica l'interesse del volume su cui oggi ci chiniamo.
È proprio questa convinzione che guida anche la narrazione. Il vocabolo è nel titolo ed è doppiamente pregnante: l'anno liturgico infatti è l'espressione potente del conversatus est cum hominibus di Dio in Gesù Cristo e la teologia di Ratzinger, feconda confluenza di dogma e storia, è in senso pieno narrazione dell'avvenimento dell'incontro personale con Cristo nella Chiesa. Una narrazione dell'anno liturgico compiuta da Papa Benedetto, a dire il grande interesse di questo volume non solo per i credenti.
La predicazione del Papa, come tutta l'opera del pensatore Ratzinger, è caratterizzata da un profondo teocentrismo. Ma questo termine non può essere adeguatamente compreso se, magari inconsapevolmente, fosse inteso in antitesi con la centralità dell'uomo, della sua storia e di tutta la realtà creata. La centralità di Dio, infatti, lungi dall'andare a detrimento dell'uomo e del cosmo, ne assicura la reale consistenza. Nell'omelia dei Primi Vespri della i Domenica di Avvento, riportata nel volume, dice in proposito il Papa: "Se manca Dio, viene meno la speranza. Tutto perde di "spessore". È come se venisse a mancare la dimensione della profondità e ogni cosa si appiattisse, privata del suo rilievo simbolico, della sua "sporgenza" rispetto alla mera materialità". Il simbolo rimanda al linguaggio cioè alla relazione interpersonale. E il simbolo cristiano, che ha il suo vertice nell'azione liturgica, è incontro, nella persona, tra cielo e terra, tra eterno e tempo. È storia in senso pieno perché è presente inteso come dinamica unità di passato e futuro.
Ma perché "Dio non manchi" è necessario che lo si possa riconoscere, cioè incontrare di persona. Infatti, se è vero che la "grande speranza può essere solo Dio", occorre riconoscere che non parliamo di "un qualsiasi Dio, ma (di) quel Dio che possiede un volto umano: il Dio che si è manifestato nel Bambino di Betlemme e nel Crocifisso-Risorto". È l'evento salvifico di Gesù Cristo, presente nella storia in modo eminente attraverso la liturgia sacramentale ad assicurare che la centralità di Dio non confligge con la centralità dell'uomo-cosmo.
Il Dio dal volto umano precede sempre l'uomo - lo aspetta, dice Benedetto XVI - suscitando la sua domanda di salvezza. Di libertà e di felicità potremmo anche dire con le due parole preferite dalla nostra sensibilità di uomini dell'epoca cosiddetta post-moderna. L'invito alla partecipazione alla vita divina è la risposta che fa sorgere la domanda, che scioglie l'enigma dell'uomo senza predeciderne il dramma, come affermava un grande amico del Papa, Hans Urs von Balthasar. ""Sufficiente" è soltanto la realtà di Cristo". Dove il termine "sufficiente" dice l'unico indispensabile. Così il giovane teologo Joseph Ratzinger. Ora, con la sua predicazione da Papa, è permanentemente teso a proporre con umile tenacia la forza onnicomprensiva di questa affermazione, perché "la fede non dev'essere presupposta, ma proposta". Queste parole con cui il teologo basilese von Balthasar aveva voluto ringraziarlo per l'invio di un suo volumetto negli anni del postconcilio, impressionano il nostro autore per il quale centrale è la consapevolezza che il cristianesimo è "l'incontro tra due libertà: la libertà di Dio, operante mediante lo Spirito Santo, e la libertà dell'uomo".
Questo incontro tra la libertà di Dio e la libertà dell'uomo è ben espresso dalla struttura liturgica del destino dell'uomo. Nella solennità dell'Epifania del 2007, Papa Benedetto, parlando del mistero della fedeltà di Dio, affermò con chiarezza che "la Chiesa è, nella storia, al servizio di questo mistero di benedizione per l'intera umanità. In questo mistero di fedeltà di Dio, la Chiesa assolve appieno la sua missione solo quando riflette in se stessa la luce di Cristo Signore, e così è di aiuto ai popoli del mondo sulla via della pace e dell'autentico progresso".
Riflettere la luce di Cristo nel mondo: questo è il dono e il compito che la Chiesa ha ricevuto dal Signore. Dono e compito che, ultimamente, si identificano con la sua santità. Essa è, infatti, anzitutto un dono permanentemente ricevuto dal Signore.
A questo proposito non possiamo dimenticare che il senso originale e primario dell'espressione communio sanctorum - contenuta nel simbolo apostolico - è quello di "comunione nelle cose sante", cioè nei sacramenti. La santità della Chiesa, quindi, è innanzitutto un dono ricevuto. Ecco perché ultimamente non può venire meno.
Ma questa santità è anche compito per i cristiani. Per indicare la necessaria implicazione di dono e compito, Papa Benedetto nella bella omelia della Missa in Cena Domini, usa una delle sue geniali espressioni di disarmante semplicità ed efficacia. Egli, parlando del dono della riconciliazione che deve diventare pratica di perdono reciproco, afferma: "Il Signore allarga il sacramentum facendone l'exemplum".
La santità della Chiesa riverbera in tal modo sul volto del cristiano, del santo (i "cieli" come ricorda Benedetto XVI citando Agostino), la cui libertà si è coinvolta in modo deciso e permanente con Gesù Cristo in forza del dono dello Spirito. La predicazione del Papa abbonda di riferimenti ai santi. Emblematiche, in questo senso, sono le catechesi che ha voluto dedicare prima agli apostoli e poi ai padri della Chiesa. In questo modo il Papa riprende e approfondisce la grande idea di Guardini che la Chiesa deve rinascere dalle anime, dalle persone. Decisiva è per l'uomo di oggi la domanda "Chi è la Chiesa?".
Più di trent'anni fa diceva in proposito Joseph Ratzinger nel volume Dogma e predicazione: "Chi incomincia a considerare la vita dei santi, trova un'inesauribile ricchezza di storie che sono più di un esempio omiletico: testimoniano l'efficacia della chiamata di Cristo in millenni colmi di sangue e di lacrime. Solo se riscopriremo i santi, ritroveremo anche la Chiesa". Ma i santi, nella vita della Chiesa, non sono solo la documentazione della potenza della grazia accolta dalla libertà. Essi sono anche il criterio, il canone, per l'approfondimento dei misteri della fede. Il lettore delle omelie di Papa Ratzinger si imbatte a ogni piè sospinto in riferimenti e citazioni di grandi santi, che illuminano la profondità del mistero: Ireneo, Agostino - la cui presenza è imponente - Gregorio di Nissa, Giovanni Crisostomo, Cromazio di Aquileia, Paolino di Aquileia, Germano di Costantinopoli, Anselmo di Canterbury. I santi dicono, meglio di qualsiasi altra realtà, che "la Chiesa è viva", come affermò il Papa nell'omelia della Santa Messa di inizio pontificato in piazza San Pietro. I santi, in un certo senso, sono l'espressione della "mia memoria della Chiesa", perché "la Chiesa come memoria, è (...) il luogo di ogni fede. Essa sopravvive ai tempi, con degli alti e bassi, sempre però come lo spazio comune della fede". I santi sono i testimoni che nutrono il presente dell'umanità.
Questa attenzione al soggetto Chiesa che celebra la liturgia, che interpreta la scrittura, che contempla e adora i misteri della fede, spiega anche i pressanti richiami alla conversione presenti nelle omelie di Papa Benedetto. In quella della Veglia Pasquale - madre di tutte le veglie e celebrazioni liturgiche - il Papa dice: "Conversi ad Dominum: sempre di nuovo dobbiamo distoglierci dalle direzioni sbagliate, nelle quali ci muoviamo così spesso con il nostro pensare e agire. Sempre di nuovo dobbiamo volgerci verso di Lui, che è la Via, la Verità e la Vita. Sempre di nuovo dobbiamo diventare dei "convertiti", rivolti con tutta la vita verso il Signore. E sempre di nuovo dobbiamo lasciare che il nostro cuore sia sottratto alla forza di gravità, che lo tira giù, e sollevarlo interiormente in alto: nella verità e nell'amore". La liturgia, l'opera di santificazione che lo Spirito compie nella Chiesa, ha come orizzonte l'adorazione di Dio e la conversione dell'uomo. Una conversione che è determinata dal richiamo al "volgersi della nostra anima verso Gesù Cristo e così verso il Dio vivente, verso la luce vera".
Potremmo così domandarci se esista ed eventualmente quale sia la chiave unitaria di lettura delle omelie pubblicate in questo volume. Tale chiave, ovviamente, dovrebbe tener conto degli altri pronunciamenti del Papa, poiché il suo ministero pastorale non è divisibile.
In altra sede ho affermato che il filo rosso che percorre l'insegnamento di Benedetto XVI, e in esso rientrano le omelie, può essere identificato con il titolo della sua prima enciclica: Deus caritas est. Il Papa mostra che tutte le domande che premono oggi sul cuore dell'uomo meritano una risposta. Egli non cessa di richiamare la sete di verità di ogni uomo e la capacità dell'umana ragione di perseguire la risposta. I testi qui pubblicati alludono spesso, nell'ovvio rispetto della loro specifica natura, non solo alle odierne brucianti questioni antropologiche, ma anche a quelle sociali e cosmologiche. Storia e destino dell'uomo nell'orizzonte del Dio/destino che si è compromesso con la storia sono continuamente intrecciate. Ma la domanda delle domande, quella che la ragione non cessa di porre, in modo più o meno elaborato, è la domanda sull'amore. Non soprattutto la domanda astratta circa la natura dell'amore, ma quella concreta e personale, che ferisce l'esperienza del singolo: "Alla fine, qualcuno mi ama?".
A questa domanda radicale risponde Dio stesso rivelando il Suo nome: "Gesù ci ha manifestato il volto di Dio, uno nell'essenza e trino nelle persone: Dio è Amore, Amore Padre, Amore Figlio, Amore Spirito Santo (...) Dal nome di Dio dipende la nostra storia; dalla luce del suo volto il nostro cammino".
L'esperienza dell'amore sgorga per ciascuno di noi da quella dell'essere amati che permanentemente ci precede e ci costituisce. Una precedenza che vive eucaristicamente nella Chiesa. Infatti è proprio nell'Eucaristia che il Dio che ci ha amato per primo viene permanentemente al nostro incontro. E incorporandoci sacramentalmente a Lui ci fa partecipi della sua dinamica di donazione: "Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Lògos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione" (Deus caritas est, 13). Così l'esperienza dell'essere amati genera la possibilità di amare, espressione compiuta di un cuore convertito e in cammino verso il Signore.
Nel celeberrimo volume Introduzione al Cristianesimo Joseph Ratzinger afferma con chiarezza che "il Lògos dell'universo, il pensiero creativo fontale è al contempo amore; anzi, è questo pensiero stesso che si estrinseca in maniera creativa, perché in quanto pensiero è amore, è in quanto amore è pensiero. Sussiste una primordiale identità fra verità e amore". Il Dio Amore, che è la verità chiede all'uomo che la sua libertà si esprima in grado massimo nell'adorazione. Dice il Papa: "Adorare il Dio di Gesù Cristo, fattosi pane spezzato per amore, è il rimedio più valido e radicale contro le idolatrie di ieri e di oggi. Inginocchiarsi davanti all'Eucaristia è professione di libertà". Sono parole che ricordano quelle del gesuita tedesco Alfred Delp, massacrato dai nazisti, citate dall'allora cardinale Ratzinger nella basilica di San Giovanni in Laterano: "Il pane è importante; la libertà è più importante, ma la cosa più importante di tutte è l'adorazione".
Annota, a proposito dei grandi oratori romani, Leopardi nello Zibaldone: "Osservate come l'eloquenza vera non abbia fiorito mai se non quando ha avuto il popolo per uditore. Intendo un popolo padrone di sé, e non servo, un popolo vivo e non un popolo morto". Le omelie di Papa Benedetto hanno certamente come interlocutore un simile popolo e non solo il popolo dei fedeli. La commovente dedizione e decisione con cui il Papa prende sul serio questo popolo spiega lo spessore della sua predicazione e lo straordinario ascolto che riceve da parte di tutti, giovani e adulti, semplici ed eruditi, dai bambini fino agli intellettuali e ai capi di Stato.

(©L'Osservatore Romano - 19 dicembre 2008)

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